Ho pensato:
“no, non scrivo; lo faranno tutti.
Quest’anno poi che siamo senza libertà in questo 25 aprile assolato e silenzioso, sarà tutto ancora più scontato“.
Ed invece non ce l’ho fatta, e allora eccomi qui a raccontarvi il #25aprile a modo mio.
Potremmo paragonare la nostra angoscia, quella che oggi ci porta a guardare all’altro come ad un portatore di male, all’angoscia di chi è morto per la libertà?
E la paura? Potremmo mai paragonarla a quella di chi provò a resistere, a difenderla quella libertà e che morì anche?
Attenti che la risposta non è scontata.
Non ci facciamo spesso caso ma la parola “partigiano” significa “di parte”, di chi ha scelto “da che parte stare” e i partigiani stettero dalla parte di chi “resiste“, al grido delle parole “resistenza” e “libertà“.
Mia cara mamma, è la mia ultima lettera.
Molto presto sarò fucilato.
Ho combattuto per la liberazione del mio Paese
e per affermare il diritto dei comunisti
alla riconoscenza e al rispetto di tutti gli Italiani.
Muoio tranquillo perché non temo la morte.
Il mio abbraccio a te e Liliana,
saluta la mia fidanzata Ines.
Addio
Walter
Walter Fillak, partigiano, non fu fucilato ma impiccato e il caso vigliacco volle che la corda si spezzasse proprio mentre lo appesero ad essa, e dovettero ripetere l’esecuzione ed è così che Walter morì il 5 febbraio del’45.
Chissà cosa provò quel povero ragazzo di venticinque anni.
Altro che senso di asfissia.
Il senso di asfissia che in questi giorni di limitata libertà stiamo provando, difficilmente potremmo paragonarlo al senso di asfissia provato durante un regime, eppure per assurdo è stato quel regime, sono stati i fascisti ad insegnarci il valore della libertà, privandocene.
Oggi siamo lì a pubblicare foto, le parole commoventi di “Bella Ciao” ricordando chi cadde per salvare questo paese dal fascismo, ma se ci pensate la libertà ha un senso se si unisce ad altre due parole che sono indispensabili e che sono uguaglianza e fratellanza, perché senza la solidarietà il senso del 25 aprile, la festa della liberazione, questo senso di identità nazionale sarebbe un concetto vuoto.
Quest’anno non possiamo non pensare all’angoscia persecutoria che ci pervade, all’angoscia depressiva che non tanto ci attanaglia nell’incertezza se riusciremo a non ammalarci, ma se ritroveremo o meno il mondo per come la abbiamo conosciuto prima; un’angoscia circa la ripresa, la capacità di riprendersi quella libertà negata che oggi tanto aneliamo.
Il coraggio dei partigiani, di Walter Fillak, un po’ assomiglia a quello che dovremo indossare nel riprenderci quel senso di libertà, più che la libertà stessa e che deve essere l’alternativa alla paura. I partigiani al tempo del coronavirus sono i medici, gli infermieri, coloro che lavorano all’ordine pubblico ma anche coloro che sorreggono la solidarietà. Nulla ha senso se non si smette di pensare egoisticamente al domani, a salvarsi da soli da un mostro che per mesi è sembrato invincibile.
Dobbiamo festeggiare oggi la concezione collettiva della libertà.
Dopo il 25 aprile del 1945 ci fu un senso di rinascita, ed è quel senso di rinascita che dobbiamo difendere oggi più che mai; la necessità non solo di sopravvivere ma di rigenerare la vita, in quella forma di resistenza che mette a tacere la paura.
Non dimentichiamo che la resistenza è stata anche una battaglia al femminile e l’impegno femminile nel movimento di liberazione, fu massiccio. Ma poche donne se ne videro riconosciuto il merito, a guerra finita. E allora ho fatto uno studio, perché è studiando che si può poi parlare alle persone, ai lettori. E studiando mi sono imbattuta in Cleonice Tomassetti. La sua è una storia di nobiltà d’animo e di straordinario coraggio. Lei, patriota fucilata a Fondotoce dai nazisti insieme con 42 partigiani rastrellati in Valgrande. Semplice donna delle pulizie, con un passato di abusi da parte del padre e fuggita da Roma a Milano, dove diventa partigiana. Prima di essere fucilata, Cleonice fa coraggio agli altri uomini che stanno per essere uccisi insieme con lei.
Capite perché ho scelto la storia di Cleonice?
Perché a distanza di 75 anni, ancora il senso della liberazione, della libertà in condizioni diversissime tra il 1945 e il 2020 resta la solidarietà, la mano tesa, la fratellanza.
Festeggiamolo questo 25 aprile, festeggiamo la Liberazione, con le lacrime agli occhi e cantando anche “bella ciao” ma senza dimenticare che non ci si può liberare da soli e che il coraggio passa da me a te, anche con un gesto semplice che resterà per sempre, nella memoria.
Simona Stammelluti
Sono passati 75 anni invano…non esiste ,dopo quasi un secolo ,una pacificazione fra gli italiani,una pacificazione che dovrebbe tenere conto degli orrori e dell’eroismo,della vigliaccheria e dell’audacia,del sacrificio e del sadismo di cui si sono resi protagonisti i partigiani e i soldati della RSI.
Si continua nel negazionismo da parte comunista…negano che i partigiani siano stati stragisti,negano che i partigiani siano stati complici di Tito,negano che i partigiani siano stati stupratori e torturatori.
Ma da tempo ormai il re è ,non solo nudo,persino radiografato…
Conosciamo tutto e tutti…nomi,date,località,numeri,tipologia delle turpitudini e delle nefandezze di questi ”liberatori” che volevano consegnarci nelle mani di Stalin.
Si continua a ignorare risibilmente il fatto che ”loro” non liberarono un cappero… furono le armate angloamericane a spingere fuori confine i tedeschi.
Insomma…oggi …in maniera felliniana in un’Italia deserta …sono tornati a celebrare un rito stucchevole che non ha mai unito la nazione,che non ha mai rappresentato l’identità nazionale.