Una terza serata davvero difficile da sopportare.
5 ore per 23 duetti, non sono proprio una passeggiata di salute, soprattutto se – come in questa edizione – ci si imbatte nei più brutti duetti della storia del Festival di Sanremo, fatta salva qualche eccezione che con piacere vi racconto.
E allora si finisce per attendere ore ed ore l’arrivo del nostro idolo, Achille Lauro che ormai è l’unica certezza di questa edizione ventiventi e che anche ieri sera ha dato lustro alla Kermesse canora con una performance di grande impatto emotivo e visivo. Con un monologo su Penelope, una intensa Monica Guerritore appare sul palco subito dopo la pubblicità catapultando il pubblico a casa in una dimensione artistica di altissimo livello e degno prologo dell’ingresso in scena del quadro dorato dell’artista romano. “Penelope” è la canzone regalata nella terza serata del festival insieme ad Emma che non mi è sembrata invece abbastanza calata nell’atmosfera surreale e appagante.
La valletta ieri sera era straordinariamente bella, un po’ Cristina Chiabotto per intenderci, ma molto meno spigliata ed anche lei ha avuto seri problemi nella lettura. Mi domando se non sia il caso di fare un corso di lettura anche alle modelle che poi finiscono per fare figuracce sui palchi prestigiosi e fuori dalle passerelle. Lei è Vittoria Ceretti, classe 1998, “bella ma che non balla”.
Fiorello un po’ meno presente sul palco, perché una serata così lunga e a tratti ammorbante non si era mai vista. Simpatica la battuta sul fatto che prima lo scambiavano per Cloony ora per Dalema e così si fa tagliare il baffetto in diretta da Amadeus – che resiste come una macchina da guerra – e poi sulle dimissioni di Zingaretti. La politica ormai fa davvero ridere, è proprio il caso di dirlo.
L’omaggio a Lucio Dalla nel giorno del suo compleanno da parte dei Negramaro in apertura di serata non convince. Quel cantare solito di Sangiorgi, pieno di ghirigori e strascichi, poco si legava con l’incisività che fu del grande Dalla.
E ora veniamo ai 23 duetti, sui quali spicca ancora Orietta Berti che canta con le Deva, “Io che amo solo te“. La sicurezza della Berti, l’intonazione, la presenza scenica rendono tutto perfetto, incastonata anche in 4 gemme tra le quali non si può non notare la bravissima Verdiana Zangaro.
Poco altro degno di nota.
Fulminacci con Valerio Lundini e uno stratosferico Roy Paci alla tromba che scelgono come pezzo “Penso positivo“, che finisce in: “la musica, la la musica … la pandemia”
Molto bene i Maneskin con Manuel Agnelli in “Amandoti”. Agnelli è parte integrante del gruppo, è guida senza sostituire il leader e la performance è appagante.
Samuele Bersani accompagna Willie Peyote con la sua “Giudizi Univesali”. Bello rivedere Bersani, ma fiacca l’esibizione.
Ghemon sceglie i Neri Per Caso con un medley “Le ragazze”, “Donne”, Acqua e sapone” e “La canzone del sole”. Un bel salto nel passato con i cantanti divenuti famosi per il canto a cappella, l’orchestra per un po’ si ferma, ed è tutto molto suggestivo.
Gaia divide il palco con Lous and the Yakuza. Bravissima cantante congolese che in francese canta divinamente la sua parte in “Mi sono innamorato di te” che fu di Tenco. A questo servono i duetti, a dare nuovo luce ai cantanti in gara e in questo caso, l’intento è davvero riuscito.
Madame molto molto bene con Prisencolinensinainciusol” di Celentano, che simula una lezione in classe ed è molto efficace oltre che scenograficamente gradevole.
L’omaggio ai lavoratori dello spettacolo da parte de Lo stato sociale è d’impatto e ridesta dalla calma piatta in cui versa la kermesse per diverse ore. Con Sergio Rubini e con gli addetti ai lavori in “Non è per sempre” degli Afterhours.
Non mi hanno convinto affatto Noemi con Neffa in “Prima di andare via“. Tutto sottotono, si riprendono nel finale ma ormai è troppo tardi e ci si scopre ad ammirare la mise di Noemi anziché i colori della sua voce.
Male anche Arisa, con Michele Bravi in “Quando” di Pino Daniele. Qualcosa si è rotto, si è inceppato in Arisa, ha perso lo slancio e la felicità nel cantato e a nulla serve il cambio di look. Bravi sembrava non voler neanche essere lì.
Ermal Meta è Caruso per una sera, con “Napoli Mandolino Orchestra”. Compitino portato a termine che gli assicura la vetta della classifica alla fine della terza serata del festival.
Finisco sempre per nominarla per ultima, ma ieri sera avrebbe meritato il podio la macchina da guerra che risponde al nome di Annalisa. Chissà se l’ha avuta mai una incertezza nel cantare. Io non l’ho mai sentita perdere un colpo e ieri sera è stata pazzesca con il chitarrista Federico Poggipollini in “La musica è finita” di Ornella Vanoni. Stamane è stata l’unica esibizione che ho desiderato riascoltare.
E’ sicuramente l’edizione del “sociale” perché anche stasera tra un siparietto di Zlatan Ibrahimović ed una eccellente Valeria Fabrizi che ha raccontato di suo marito scrittore di canzoni, c’è stata Antonella Ferrari che calca il palco con un stampella e che regala un monologo sulla sclerosi multipla e poi Donato Grande l’asso del Powerchair Football.
Che aggiungere … stiamo vivendo di caffè a notte fonda e allenando la resistenza.
Ma dobbiamo arrivare fino in fondo, perché Sanremo è istituzione come la bandiera bianca rosso e verde.
E preferiamo questi colori, a quelli della pandemia
Stasera si decreterà il vincitore tra le nuove proposte.
Che vinca il migliore (Folcast)
A domani
LaStammelluti