Era il 26 marzo del 2018 quando il segretario provinciale del sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria di Bologna, scriveva al direttore della casa circondariale e alle autorità competenti tutte, per segnalare i tanti problemi legati alla gestione del Caseificio “Liberiamo i sapori” inaugurato nel 2016, grazie alla legge Smuraglia che concede alle imprese che investono nelle strutture penitenziarie, o che assumono detenuti, dei benefit fiscali.
Il progetto per la realizzazione del suddetto caseificio era stato realizzato anche grazie al cospicuo investimento del Ministero della Giustizia.
Nella segnalazione si evidenziavano le problematiche derivanti dal fatto che il casaro (persona non detenuta) lavorava da solo, senza detenuti, e il personale di Polizia penitenziaria però, era costretto comunque a vigilare sulla attività lavorativa.
Inoltre l’accesso all’istituto avveniva spesso senza preventiva comunicazione, che invece era necessaria per consentire la giusta programmazione del servizio, costringendo il personale a fermarsi oltre l’orario di lavoro, e sovente a coprire più posti di servizio.
Ma non era tutto. Perché lo stesso personale era chiamato a gestire e a contenere gli effetti del crescente malcontento dei detenuti che lamentavano la mancata firma del contratto di lavoro e il mancato pagamento degli stipendi, le numerose ore di straordinario. Già qui ci sarebbe da chiedersi – se tutto ciò corrispondesse a vero – come sia possibile che all’interno di una struttura detentiva, istituzione statale e presidio di legalità, possano tollerarsi simili gravissime inadempienze.
Fatto sta che tutto questo, accadeva oltre un anno fa. Ma lo scorso 29 giugno, il medesimo sindacato scrive ancora agli organi competenti, dopo aver appreso della chiusura dell’azienda casearia sita all’intento del carcere Felsineo.
Il SiNAPP evidenzia nella lettera, come da tempo il suddetto ordine si è occupato delle problematiche connesse alla cattiva organizzazione dell’azienda che, per logica di consequenzialità, ha avuto crescenti ricadute negative sull’organizzazione del lavoro dei Poliziotti penitenziari.
E pensare che proprio i Poliziotti penitenziari sono stati i primi a credere, nella fase iniziale, alla buona riuscita dell’attività, in un ambiente tanto particolare, dove il lavoro può davvero restituire speranza e dignità alle persone detenute e, conseguentemente, serenità e sicurezza per gli stessi Poliziotti.
Dunque l’enfasi iniziale, ha lasciato purtroppo il posto al fallimento del progetto.
Restano, pertanto, degli interrogativi e delle domande che attendono delle risposte, perché – come si legge nel comunicato – il carcere non puo’ e non deve fabbricare carcerati, ma cercare di restituire alla società uomini riabilitati e, possibilmente, avviati ad una professione e/o un percorso di studio e di reinserimento.
Questa, una delle tante situazioni difficili che si consumano nelle carceri italiane, che seguiremo anche nei giorni a venire.