Bruno Contrada presenta il conto

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Dopo l’annullamento della sentenza di condanna, perché non condannabile, Bruno Contrada presenta il conto: “Tre milioni di euro per la detenzione e il danno che ho subito”.

Bruno Contrada presenta il conto alla cassa dello Stato Italiano. “Sono stato condannato e ho trascorso 10 anni della mia vita in galera a causa di un errore giudiziario: pagatemi 3 milioni di euro”. E sì. Il difensore dell’ex dirigente dei Servizi segreti del Sisde, l’avvocato Stefano Giordano, si è presentato alla Corte d’Appello di Palermo ed ha depositato l’istanza per la riparazione dell’errore giudiziario. E le spese di riparazione a favore del già capo della Squadra Mobile di Palermo ammontano a 3 milioni di euro, non solo per la detenzione subita ma anche per il danno biologico, morale ed esistenziale, patito da lui, Contrada, e dai suoi familiari più stretti, costretti ad un procedimento giudiziario che si è protratto 27 anni. La Corte di Cassazione il 6 luglio del 2017 ha dichiarato non eseguibile e non produttiva di effetti penali la sentenza penale di condanna del 25 febbraio 2006 quando, dopo il rinvio dalla Cassazione, la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la condanna a 10 anni di carcere inflitta in primo grado a Bruno Contrada, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. E la Cassazione ha recepito a sua volta la storica precedente sentenza della Corte europea dei diritti umani, che il 13 aprile del 2015 ha sentenziato che Bruno Contrada non sarebbe stato condannabile per un reato, il concorso esterno alla mafia, che, nel periodo incriminato, tra il 1979 e il 1988, non è stato ancora reato. E dunque la condanna subita da Contrada ha violato il diritto fondamentale dell’imputato di conoscere le conseguenze penali della propria condotta prima di porla in essere. E si tratta del principio sancito dall’articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’ Uomo, ovvero il principio del “nulla poena sine lege”, nessun reato senza una legge che condanni il reato. L’ Unione delle Camere Penali italiana, intervenendo a ridosso della sentenza della Corte europea per i diritti umani a favore di Contrada, ha ribadito che il concorso esterno è “una figura di creazione giurisprudenziale elaborata a partire dai primi anni 90, non essendoci una fattispecie di reato di tale natura delineata dal codice penale. Le condotte contestate a Contrada risalivano agli anni 80, quindi ben prima che la giurisprudenza creasse la figura del concorrente esterno in associazione mafiosa. La decisione della Corte Europea ripropone con forza la questione della non retroattività e della prevedibilità della legge penale. Sono principi costituzionali posti a garanzia del cittadino che non possono essere travolti dalla giurisprudenza creativa spesso disegnata, e non disdegnata, dalla magistratura, che nel caso specifico ha elaborato una nuova figura di reato, che è il concorso esterno in associazione mafiosa, estendendone inopinatamente gli effetti anche alle condotte anteriori al tempo in cui tale interpretazione fosse concepita”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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