La famiglia fece eregere una stele, lungo la SS 640, ove il giudice ragazzino fu ucciso il 21 settembre 1990 per mano della stidda.
Il suo nome era Rosario Livatino, aveva solo 37 anni. Un uomo riservato, dedito alla famiglia e alla legge.
Nel 1979 era divenuto sostituto procuratore e nel 1989 giudice, sempre, al Tribunale di Agrigento.
Livatino si occupò delle indagini antimafia, degli intrecci tra mafia e affari, di criminalità comune, di quella che negli anni ’90 era conosciuta come la tangentopoli siciliana. Emise numerosi decreti di confisca a carico di famiglie mafiose, scoprì i legami dei beni tra cosa nostra e massoneria.
Ha portato avanti indagini, soffermandosi sugli interessi economici della mafia e della guerra a Palma di Montechiaro tra mafia e stidda.
Come ogni giorno, e anche quel maledetto 21 settembre 1990, Livatino percorreva la SS 640 da Canicattì – ove abitava – al Tribunale di Agrigento. Lui non aveva una scorta, non aveva un auto blindata, aveva una semplice utilitaria una Ford Fiesta di colore rosso, magari anche bucata dalla ruggine.
I suoi assassini (Giuseppe Avarello, Gaetano Puzzangaro, Giuseppe Croce Benvenuto, Domenico Pace e Paolo Amico) tutti nativi di Palma di Montechiaro ma residenti all’estero, erano aderenti alla “Stidda”.
I killer rientrarono in terra sicula solo per 24 ore, per eseguire gli ordini e andarsene. I mandanti di questo efferato omicidio fu la “Stidda”, l’ organizzazione malavitosa che nell’agrigentino e nel nisseno si è proposta come avversaria ferocissima e alternativa a Cosa Nostra.
Il “Giudice Ragazzino” fu condannato a morte perché reo di aver perseguito le cosche mafiose impedendone l’ attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l’espansione della mafia.
La Stidda considerava Livatino, uno spina nel fianco, e nell’intenzione di dimostrare la loro forza alle famiglie mafiose del luogo lo condannarono a morte.
Rosario Livatino, un uomo, un martire, un siciliano che ha scritto la storia, con la mano inconsapevole dei suoi killer.
Lui è – “è” perché per noi non morirà mai – l’emblema della semplicità, del bene, della legge e dell’antimafia.
In uno dei suoi lasciti, Rosario Livatino ragazzo riservatissimo, scrisse: l’indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità.
Il 6 settembre 2018, per volere del cardinale Francesco Montenegro della diocesi di Agrigento, si chiuse l’iter di beatificazione di Rosario Livatino.