Oggi 6 gennaio Sergio Mattarella a Palermo all’Assemblea Regionale per i 40 anni dall’omicidio del fratello Piersanti. Il corso dell’inchiesta ancora non conclusa.
Palermo, via Libertà, 40 anni addietro, 6 gennaio 1980, Piersanti Mattarella, Presidente della Regione Siciliana, Democratico Cristiano, è insieme alla moglie, i due figli e la suocera. Sono diretti a messa. Entrano in automobile, una Fiat 132 non blindata e senza scorta, perché Piersanti almeno di domenica rinuncia alla protezione armata. Un uomo irrompe a piedi, verso l’auto, a volto scoperto, impugna una pistola Colt 38 Special, spara otto proiettili a meno di un metro di distanza e uccide il fratello maggiore dell’attuale presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella. Piersanti muore sotto gli occhi dei familiari, ferito alla tempia, al torace e alla spalla. Sergio Mattarella lo solleva da dentro l’automobile. La corsa, senza speranza, è all’ospedale “Santa Sofia”. Nelle redazioni dei quotidiani giungono le rivendicazioni: i neofascisti dei “Nar” (i Nuclei armati rivoluzionari), Prima Linea e le Brigate Rosse, che due anni prima, 9 maggio 1978, hanno ucciso Aldo Moro, primo riferimento politico di Piersanti Mattarella, che si contrappose nettamente ai compagni di partito Salvo Lima e Vito Ciancimino, esponenti della corrente andreottiana e ritenuti a cavallo tra interessi mafiosi e politica in Sicilia. La giunta di centro-sinistra di Mattarella, battezzata nel 1978, si forma con l’appoggio esterno del Partito Comunista, in continuità con la politica del “compromesso storico” inaugurata da Aldo Moro. Per l’omicidio Mattarella sono indagati i “Nar” Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini. La moglie di Piersanti, Irma Chiazzese, avrebbe riconosciuto Fioravanti come colui che ha scaricato la pistola contro il marito. Tuttavia la sua dichiarazione fu in seguito dichiarata “inattendibile”. Anche il giudice Giovanni Falcone fu in difficoltà a fronteggiare i cosiddetti “delitti politici” a Palermo: Michele Reina, segretario provinciale Dc, ucciso il 9 marzo 1979, Piersanti Mattarella, e poi Pio La Torre, segretario regionale del Partito Comunista, assassinato il 30 aprile 1982. Pista mafiosa o terrorista? Dopo la morte di Falcone, i pentiti Tommaso Buscetta e Gaspare Mutolo dirottarono i magistrati sulla pista mafiosa. Nel 1995 sono condannati all’ergastolo quali mandanti dell’omicidio di Piersanti Mattarella i boss Michele Greco, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Nené Geraci e Francesco Madonia. E al processo a Giulio Andreotti sono stati citati incontri a Palermo tra Andreotti e i boss di Cosa Nostra per discutere del comportamento di Piersanti Mattarella e della Regione Siciliana “con le carte in regola” da lui professata. Poi nel 2018 la pista nera è riemersa allorchè sono stati ritrovati due spezzoni di una targa d’automobile, che, uniti, sarebbero stati utilizzati sulla Fiat 127 utilizzata dai killer la mattina del 6 gennaio ’80 in via Libertà a Palermo. Dove sono state ritrovate? In due covi, a Palermo e a Torino, all’epoca nella disponibilità di un gruppo di estrema destra, “Terza Posizione”. Eversione nera. Attualmente la Procura di Palermo ha riavviato le indagini dopo avere scoperto che, oltre ad uccidere Mattarella, una pistola Colt 38 Special ha ucciso anche il giudice palermitano Mario Amato, a Roma il 23 giugno 1980. Per la morte di Amato è stato condannato il terrorista nero Gilberto Cavallini, lo stesso inizialmente indagato per il delitto Mattarella. A 40 anni dal 6 gennaio 1980 riecheggiano significative le parole espresse da Giovanni Falcone sul caso Mattarella: “E’ un’indagine estremamente complessa perché si tratta di capire se, e in quale misura, la pista nera sia alternativa a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)