La sciarra nu varberi di Giuseppe Maurizio Piscopo
Sono arrivato in piazza Cavour alle 10 del mattino ed ho trovato il salone pieno di gente che discuteva animatamente sulla grande musica italiana. C’era una forte questione intellettuale sulle opere di Giuseppe Verdi e di Vincenzo Bellini. Si erano create due fazioni contrapposte fra i clienti del sabato: per alcuni le opere di Verdi Il Rigoletto, il Trovatore, La Traviata erano inferiori alle composizioni di Vincenzo Bellini autore di 10 opere liriche tra le quali: la Sonnambula, la Norma, I Puritani. Una questione difficilissima da dirimere anche per il barbiere. “Bellini ha studiato a Napoli quando Napoli era come Parigi, e i musicisti napoletani erano al primo posto nel mondo, che ci avete in testa gridava Don Fofò agli avversari, voi siete come il vino senza “tramazzo” e ogni botte dà il vino che ha e in questo caso la vostra botte sa dare solo “acitu tintu, che ne sapete di musica e teatri!” Di che stiamo parlando gridava con un tono sopra Don Taninu, Giuseppe Verdi ha simpatizzato con il movimento del Risorgimento ha composto Il Va pensiero, ( il coro degli schiavi del Nabucco), opera famosa eseguita in tutti i più grandi Teatri del mondo, finemula di babbiari ! Il barbiere non era molto ferrato sugli argomenti dell’opera lirica e non riusciva a stabilire la calma, tant’è che nella concitazione, nel momento in cui Don Fofò e don Taninu stavano arrivando alle mani, in un attimo di distrazione al cliente comodamente seduto gli stava tagliando un orecchio col rasoio. Fortunatamente in quel momento entrò l’ avvocato Giglia un melomane, sempre con il cappello e l’ombrello che portava sempre e con qualsiasi tempo memore di una breve esperienza a Londra. Per questo lo chiamavano scherzosamente “U nglisi”. La sua presenza fu come un toccasana. “E cu lu mannà l’Angilu Gabrieli dissi u varberi” che era in grande difficoltà, con il rischio che se la cosa continuava a prendere quella brutta piega gli distruggevano il salone con le sedie nuove appena arrivate da Napoli. L’avvocato Giglia era un grande appassionato dell’Opera, era uno che quando c’era la prima al teatro Massimo di Palermo si faceva accompagnare da uno dei dodici apostoli favaresi, così li chiamavano gli autisti di piazza. Gli autisti volevano evitare questa noiosa giornata perché non amavano l’Opera, ma all’avvocato nessuno diceva di no e fingevano di essere felici nel trascorrere una giornata con lui e la sua signora. L’avvocato Giglia trasformò quel salone in un’aula di tribunale, prima volle sentire le ragioni delle due parti, poi chiese il silenzio assoluto per esprimere il suo verdetto finale. Sia chiaro, disse deciso: la ragione non sta mai da una sola parte ricordatevelo sempre. Noi non stiamo parlando di due ciclisti qualsiasi, come Gimondi e Bartali, di due campioni del mondo, ma di due grandissimi musicisti molto diversi l’uno dall’altro, di due grandissimi uomini che hanno fatto grande l’Italia nel mondo. Comprendo tutte le vostre ragioni, capisco perché alcuni propendono per Bellini che in fondo è quasi un nostro compaesano, ma lasciatemelo dire con chiarezza, se Vincenzo Bellini è un grande Giuseppe Verdi un cugliunia! Con queste parole piene di colore e adatte a qualsiasi pubblico, nel salone ritornò finalmente la calma e si sentì un applauso corale. Il barbiere riprese il suo lavoro, e con voce decisa disse:- “Sono le stesse cose che avrei voluto dire io, ma per la maleducazione che in questo paese regna sovrana, non riesco mai a finire un discorso ”. Che sia chiaro a tutti, questa è l’ultima volta che succede una cosa simile, la prossima volta chiudo il salone e vado a caccia. Avvocato si accomodi disse il barbiere. No, non tocca a me ringraziò l’avvocato, ma in fondo gli faceva un grande piacere! Il giovane che stava facendo la barba con la faccia mezza insaponata si alzò di scatto e lasciò il posto vacante all’avvocato. Nel salone arrivarono cannoli e caffè per tutti.
Giuseppe Maurizio Piscopo