Raffadali, delitto Mangione: dopo 9 anni fatta piena luce sugli assassini. In carcere tre persone

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Sarebbe stato ucciso perchè molestava donne sposate: a commissionare l’omicidio – secondo quanto ipotizza l’accusa – sarebbe stato uno dei figli dopo che la madre aveva cacciato fuori da casa il proprio marito e che lo stesso avrebbe persino tentato un approccio intimo con una nuora, moglie di un altro figlio.
Nove anni dopo i fatti, grazie alla collaborazione di uno dei presunti organizzatori dell’agguato, scattano tre arresti per l’omicidio dell’imprenditore Pasquale Mangione, assassinato a colpi di pistola il 2 dicembre del 2011 in contrada Modaccamo, strada di campagna fra Raffadali e Cianciana.
L’ordinanza di custodia cautelare, firmata dal gip di Palermo Antonella Consiglio su richiesta del pm della Dda Claudio Camilleri, è stata eseguita dai poliziotti della squadra mobile di Agrigento, diretta da Giovanni Minardi. In carcere sono finiti Antonino Mangione, 40 anni, di Raffadali, che due anni fa ha collaborato con i poliziotti dando impulso alle indagini che erano in ghiaccio, Roberto Lampasona, 43 anni, di Santa Elisabetta e Angelo D’Antona, 35 anni, di Raffadali. Quest’ultimo è stato rintracciato qualche ora dopo in Germania.
Indagati a piede libero anche uno dei figli della vittima – Francesco Mangione, titolare del “Metabirrificio”, ristorante di Raffadali – e il presunto boss quarantenne Francesco Fragapane, di Santa Elisabetta, condannato a 20 anni di carcere nell’ambito del processo “Montagna” con l’accusa di avere diretto il nuovo mandamento mafioso seguendo le orme del padre Salvatore. La vicenda, piuttosto articolata, viene descritta da Antonino Mangione il 30 maggio del 2018. Il raffadalese, più volte arrestato per mafia e droga e sempre prosciolto, entra in contrasto col boss Antonio Massimino e decide di collaborare con gli inquirenti. Oltre a riempire pagine di verbali nell’ambito dell’indagine “Kerkent”, svela agli inquirenti di avere organizzato un omicidio su incarico del figlio di Pasquale Mangione.
“Mi chiese se potevo organizzare un omicidio senza dirmi, in un primo momento, chi fosse la vittima. Mi disse solo – ha aggiunto il collaborante – che il colpo di grazie avrebbe dovuto essere ai testicoli perchè fosse a tutti chiaro il movente e che ci sarebbe stato un compenso di 10mila euro”.
Antonino Mangione, che non è parente della vittima, decide allora di parlarne con Lampasona (entrambi sono stati coinvolti in numerose vicende comuni di mafia e droga) e D’Antona. Il primo, secondo la versione di Antonino Mangione, avrebbe chiesto il permesso a Francesco Fragapane seguendo le regole mafiose. Permesso che arrivò anche perchè la vittima non faceva parte di Cosa nostra.
La vittima viene pedinata per scoprire le sue abitudini e viene scelto come giorno per l’omicidio il 2 dicembre perchè è un venerdì e, di solito, trascorre quel giorno in campagna. Lampasona e D’Antona materialmente, sempre secondo il racconto di Antonino Mangione, con una moto e un’auto vanno a cercarlo in quell’appezzamento di terreno isolato con una calibro 7,65, comprata da Antonino Mangione. Il presunto omicida ricercato gli spara al petto ma le cose si complicano perchè Mangione, seppure ferito, riesce a fuggire dentro la casa e l’arma si inceppa.
Alla fine viene raggiunto e colpito con il calcio della pistola alla testa, restando ucciso per il trauma cranico. Il corpo verrà trovato l’indomani dilaniato dai cani. Sulle prime non si comprende neppure che si è trattato di un omicidio. L’indagine resta ferma per anni. Fino alla collaborazione di Mangione che tecnicamente non è un “pentito” e nelle scorse ore è finito in carcere. I pm non hanno chiesto l’arresto di Fragapane e del figlio della vittima ma solo di Antonino Mangione e degli altri due che, intercettati, di fatto confessano commentando la notizia della collaborazione di Mangione nell’ambito dell’inchiesta Kerkent, data dai giornali.
Lampasona e D’Antona parlano fra loro e sperano che la pioggia e i cani abbiano cancellato le loro tracce e temono di venire arrestati. Gli esiti degli accertamenti biologici, balistici e dell’autopsia – sottolinea il gip – danno pieno riscontro alle dichiarazioni del collaboratore. La mafia, però, nulla c’entrerebbe secondo il magistrato che, infatti, dopo avere disposto gli arresti si è dichiarato “incompetente per materia”.

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