DI MARIO GAZIANO
“Io sperIamo che me la cavo”.
È il bel titolo del bellissimo film del 1992 di Lina Wertmuller, con un grandioso Paolo Villaggio.
Soggetto dall’omonimo romanzo di Marcello D’Orta.
Un titolo accattivante , ma soprattutto un sibilo dentro le orecchie di noi over settanta, e non solo.
Anche dei sessantenni e di chi è sorpreso dal Covid 19.
Un nemico inaspettato, insospettato, traditore.
E ora a chiederci: in che area siamo finiti:
gialla, arancione, rossa?
Ora che la vela della nostra esistenza è rattoppata ed è diventata, essa stessa, metafora della nostra preoccupata terza età.
Proprio così come scriveva Ernest Hemingway nel suo bellissimo romanzo “Il vecchio e il mare”.
Eppure con quella “vela” pensavamo di viaggiare le ultime acque con la serenità, l’esperienza, la saggezza da tramandare.
E invece no!
Costretti ad inseguire le ultime notizie : le percentuali di tamponi e di contagi, tutti gli ologrammi che intristiscono e generano malinconie,terrore e solitudine.
La solitudine con cui avevamo un patto onesto di concordata serenità e di condivisa umanità.
Proprio così come ci aveva insegnato Garcia Marquez in “Cent’anni di solitudine”.
E invece qui, costretti in un casa che amiamo, ma – con l’obbligo-
ci toglie libertà e respiro.
E rinunciamo pure alle parole: in attesa di una telefonata, di un wazzapp, di un messaggio: consolatori.
Maledetto Covid 19: creato dall’uomo contro l’uomo.
E dubiti di questo terzo millennio, dubiti delle capacità di chi deve programmare la nuova guerra antivirus.
Soli. Tristi. Perplessi.
Gli over settanta.
Ubbidienti. Rinunciatari,
Esaurita la voglia delle mille battaglie dei nostri vent’anni, trent’anni e quaranta e cinquanta: politiche, sociali e culturali.
Sentire non “essenziali” i nostri canoni di cultura a cui abbiamo sempre creduto : tra cinema, teatro, concerti, happening…, risulta ributtante e riluttante.
Cosa fare?, a chi ricorrere: noi che fummo forti, ora disarmati, in balià di eventi che non controlliamo, di cui non siamo più parte, solo soggetti muti.
E torna il pensiero sibilante: “speriamo che me la cavo”.
E ,incredibilmente, Paolo Villaggio diventa l’ultimo nostro referente,a cui affidare speranze e sogni ormai imbiancati.
Caro Mario, sto a scrivere il mio commento che, però, d’un tratto, mi scompare alla vista.
Provo a riscriverlo!
Mesta la riflessione di Mario Gaziano su un nostro “oggi” che non gradiamo affatto, anche perché detto “presente” coinvolge l’intero pianeta Terra e fa apparire tutti noi impotenti, in attesa, smarriti!
Tu, Mario, con il tuo costruire un percorso costellato di precisi riferimenti letterari, appari volerti aggrappare alla speranza – Io speriamo che me la cavo -, purché detta speranza sia sorretta da intelligente volontà di lotta per evitare ad ogni costo una possibile resa al “nemico”; e tale volontà deve originarsi da noi “vecchi”, perché molti dei nostri giovani e meno giovani appaiono tristemente guidati da distraenti e veramente false idee provenienti da soggetti privi di cultura, pur occupando in maniera indegna scranni di importanti, se non massimi Templi!