Lei si chiama Genny, ed è una delle tante persone che è stata stipata nel pronto soccorso di Cosenza.
Al telefono mi parla con voce affannata, mentre tossisce forte. Il coronavirus le ha “regalato” una “polmonite interstiziale in Covid-positivo”, così recita il referto.
Quello che i suoi occhi vedono e che le sue orecchie sentono sa di film dell’orrore. Persone con ossigeno sdraiate su barelle attaccate l’una all’altra e persone invece come lei, che sono costrette a stare su una sedia, perché posto non ce n’è.
La mia domanda alla signora nasce spontanea: “e allora quelle tende che hanno messo all’esterno del pronto soccorso?“
Mi risponde: “Non servono a nulla, sono solo deposito di materiale, non sono coibentate, non possono accogliere pazienti”.
Genny fa la docente, si contagia di Covid, così come suo fratello e sua figlia, che scoprirà di essere positiva da un documento ufficiale che riporta l’elenco dei positivi e che gira in rete, (senza rispetto per la privacy) e senza che nessuno si sia preso la premura di avvertirla.
La situazione della donna si aggrava, con l’ambulanza la trasferiscono al pronto soccorso, dove attende che le venga fatta una Tac, ma i tempi sono lunghi, lunghissimi, la situazione è agghiacciante, sembra un lazzaretto di manzoniana memoria. Disordine, confusione, dolore. Non si sa se quelle persone sono affette da covid-19 o da altre patologie, ormai non esiste nessun triage che possa tenere ordine tra i malati. Tutti stipati in quella stanza, tutti in attesa di ricevere quel che spetta loro di diritto, essere curati e salvati.
Tossiscono, si lamentano, stanno male … chiedono aiuto.
Forse nel terzo mondo, le persone hanno più dignità.
A Genny viene data una cura e rimandata a casa, la sua situazione non è cosi grave da restare lì, anche perché posti non ce ne sono, o meglio, non ci sono posti nelle aree adibite al caso, ma la struttura ospedaliera è vuota, i reparti sono vuoti, alcuni medici sono stati messi in ferie. Sono gli stessi infermieri che lo dichiarano ai microfoni de “La C news”, medici costretti a curare infetti e non infetti senza distinzione, senza sapere a cosa vanno incontro ogni volta che approcciano ad un malato.
Ma torniamo a Genny, che al telefono mi racconta di come dopo un periodo di cura, deve sottoporsi ancora a Tac. Chiama l’ambulanza, ma la sua saturazione è buona e allora le viene detto di restare a casa. Ma la donna deve tornare in ospedale. I sanitari del 118 allora la riportano all’Annunziata e lì aspetterà dalle 7 del mattino alle 13 quando le rifaranno l’esame diagnostico.
Prova a chiamare i Carabinieri, per chiedere di intervenire in quella situazioni così drammatica.
“Non è nostra competenza” – le viene risposto.
Il cittadino malato abbandonato, ma anche medici ed infermieri sono abbandonati, all’Ospedale Civile di Cosenza. Lavorano con turni massacranti da giorni ormai, e non sanno come gestire tutta quella gente in uno spazio così piccolo, tra disordine e confusione e stanchezza.
Questa la situazione, questo lo scempio della Sanità Calabrese e non basta più il “Manteniamo alta la guardia, state lontani e mettete la mascherina”.
Ci si ammala e serve un intervento urgente, per questa terra che non trova pace, alla mercé di un virus killer e del menefreghismo dei vertici e della politica.
Simona Stammelluti