Di Toto Cacciato
L’Oratorio dei Salesiani era sistemato e composto in un palazzone posto in alto tra casette e viuzze dell’antica nostra città; un edificio, forse di origine borbonica, o forse di un più antico monastero. All’interno, a memoria di un antico chiostro, uno spazio fra quattro facciate, lastricato a disegni con pietre di lava e pietre di mare, giusto lo spazio per giocare a palla.
Nei giorni di festa per gli oratoriani quel quadrato era il campo di calcio, con le traverse delle due porte sistemate negli angoli opposti, era l’arena di eccezionali dispute intorno ad un pallone.
La costruzione dell’edificio a due piani aveva un’infilata di finestre all’esterno, aule e lunghi corridoi all’interno, altre sale di riunione e in fondo quelle del prefetto.
I Salesiani, così da tutti indicato, era un convitto con alunni di Scuola media, ma era anche frequentato dai ragazzi del quartiere, dove un torneo di calcio appassionava molto gli adolescenti.
Quel quadrato di pietra era l’arena di gloriose vittorie e di cocenti sconfitte; correvano i primi anni Cinquanta, il calcio era l’unica risorsa sportiva e agonistica per i ragazzi di allora.
L’attività oratoriana era molto festosa, animata da sentimenti di competizione e di amicizia; a termine del meriggio sportivo i convittori ripercorrevano i lunghi corridoi e ritornavano alle loro carte.
Partite favolose, con le regole orecchiate dall’inglese dei fondatori del gioco del calcio, termini come fut-bal, e poi penarty, enzi, fully, off-said, corner, ecc. (Mister era ancora da divenire).
Le aree del campo erano segnate a gesso, l’abbigliamento dei calciatori era spontaneo e approssimativo; pericolose erano le scarpe adattate al gioco, quasi scarponi, e a protezione delle gambe i parastinchi e spessi calzettoni.
Il pallone era a losanghe di cuoio, pesante, e con una vistosa cucitura a protezione del beccuccio della camera d’aria che conteneva all’interno. Arbitro, a volte, un prete, per definizione giusto e irremovibile.
Quando arbitrava Don Blandino esplodeva in campo un particolare furore agonistico, una gara di abilità calcistiche che spesso includevano: mischia, baruffa e zuffa.
Don Blandino, di origine, forse, altoatesina, quasi due metri, rosso di capelli, energico, dirigeva con pochi gesti e pochi fischi.
Scioglieva le zuffe con le sue grandi mani, e nel caso ce n’erano per tutti.
I ragazzini giocavano con in testa, e a memoria, i nomi del Grande Torino: Bacigalupo, Ballarin,Maroso…Menti, Rigamonti…Castigliano Grezar…Mazzola, Loik…
Era, anche, gratificante e motivante pensare che grandi campioni come Rivera, Trapattoni e altri avevano iniziato giocando all’oratorio e che furono poi campioni del calcio italiano, vincendo coppe e scudetti, fino alla Nazionale e ai Mondiali di Calcio.
Gli adolescenti, calciatori dell’oratorio, gli scudetti e le coppe le hanno vinte nella vita reale e nelle loro carriere professionali, ma sono rimasti sempre tifosi del calcio, dei simboli e colori delle squadre più significative del calcio italiano.
Ricordano le gesta dell’oratorio e le rivedono come in sogno, e ricordano, anche, la magia di quel 4 – 3 : Rivera alza i pugni al cielo e si abbandona all’abbraccio di Riva.