La musica è finita, gli amici se ne vanno: Il #Sanremo2021 letto dalla Stammelluti

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Un Festival di Sanremo come non si era mai visto: con fuori la pandemia, senza pubblico, 26 (VENTISEI!) cantanti in gara, 8 giovani proposte, senza dopofestival ma con serate che finiscono a notte fonda (ma proprio fonda), i fiori sul carrello, qualche cosa interessante e un Achille Lauro che ruba la scena e non ce n’è per nessuno.

E poi le solite cose: Un’eccellente Orchestra, la simpatia di Fiorello, le scale che mettono in crisi, attrici e giornaliste al posto delle vallette, il televoto, la delusione quando non vince sempre il più bravo o quel che piace a te.

E così archiviata la 71esima edizione del Festival di Sanremo, ci mettiamo comodi e proviamo a raccontare a chi la Kermesse non l’avesse vista, qualche dettaglio, qualche curiosità.

Mi viene da pensare subito alla performance di Stefano Di Battista alle 2 di notte, nella prima serata del festival insieme alla violinista russa Olga Zacharova e alla Banda della Polizia di Stato,  in un meraviglioso tango. Perché non in apertura quel momento di musica? Stefano di Battista, uno dei più bravi sassofonisti jazz, che su quel palco vi era già stato, con sua moglie Nicky Nicolai in gara, e poi anche come ospite. Non si reggono così tante ore davanti alla Tv e così si finisce di perdere dettagli degni di nota. 

In gara quest’anno la metà dei cantanti era sconosciuta al grande pubblico, perché si era abituati a sentire i nomi noti, che hanno più e più volte calcato il palco sanremese. E invece quest’anno tra Renga, Ayane, Gazzè, Orietta Berti, Bugo (diventato famoso per la querelle con Morgan) abbiamo trovato La Rappresentante di Lista, Gaia, Fulminacci, Coma Cose, Willie Peyote. Alcuni di essi famosissimi tra i giovani per la loro arte diffusa su youtube, e simboli della musica Indi(pendente).

La verità è che alla quinta serata le canzoni in gara ci sembrano tutte carine, passabili, già canticchiamo i motivetti e sono già lontane le critiche fatte nella prima serata nella quale non si riesce a star dietro ai testi, si fa fatica a concepire come si possa stare su quel palco e stonare così tanto. Perché è stato anche il festival delle grandi stonature ed è mancata oltre all’intonazione anche un bel po’ di pathos, forse  a causa della mancanza del pubblico in sala. Non deve essere facile cantare in un teatro vuoto per 5 sere di seguito.

E così alla quinta ed ultima serata ho confermato alcuni giudizi positivi e ho rivalutato altri. 

Penso che il testo “Mai dire mai” di Willie Peyote sia uno spaccato di questo momento storico del mondo della musica in cui tutto viene spacciato per arte, ma alla fine è solo fuffa, come se bastasse finire su Spotify per essere un talento.

Che poi alla fine, al netto della vittoria sanremese – sono tanti i casi del passato di cantanti arrivati ultimi e poi divenuti strafamosi e con pezzi in vetta alle classifiche – saranno le radio, gli ascolti sulle piattaforme a decretare i vincitori veri, perché questa estate ognuno avrà il suo motivo preferito in testa, lo metterà in macchina (semmai si potrà tornare a viaggiare), o lo ascolterà prima di dormire.

Per me molto bene Ghemon  con “momento perfetto“, il pezzo funziona, il giovane Fulminacci che con “Santa Marinella” ha dimostrato di avere già una identità musicale spiccata, Colapesce e Dimartino – che in prima battuta non mi avevano convinto – e che con “Musica leggerissima” entrano a loop e sono i nuovi Righeira. Eppure resterà in mente anche quel “Quanto ti dico ti amo…” di Orietta Berti, l’unica intonatissima una sera dopo l’altra insieme ad Annalisa, che resta impeccabile in ogni performance ma forse proprio quel suo essere sempre senza nulla fuori posto, la penalizza. Arisa, Noemi, non mi hanno convinta, eppure Arisa ai tempi di “Sincerità” su quel palco catalizzava tutti. Ermal Meta non sbaglia e infatti si piazza al terzo posto, e vince anche il Premio “Giancarlo Bigazzi” per la migliore composizione musicale con la sua “Un milione di cose da dirti“.

Spiacevole caso Chiara Ferragni, che fa un annuncio su Instagram e utilizza anche il figlioletto Leon per invitare i suoi milioni di followers a votare suo marito Fedez in gara con la Michielin che erano 21esimi in classifica nella terza serata e che schizzano in zona podio. Assurdo e pure scorretto, ma questo è il potere assoluto di chi però può parlare solo a chi probabilmente non è dotato di giudizio critico. L’essere famosi è una cosa, il talento è un’altra. Mai mischiare le due cose, si finisce di restare incastrati in un limbo deleterio per la musica e l’arte.

Il fenomeno di questa 71esima edizione del Festival di Sanremo resta lui, Achille Lauro ed i suoi “quadri d’autore”. Vere e proprie performance artistiche che mostrano la versatilità del cantante romano, il suo desiderio di sdoganare l’ovvio e i cliché, di riportare all’essenza del proprio essere la vita del singolo, che può essere quel che vuole se possiede una propria identità che pulsa, che si affaccia al mondo, che mostra istinto e fragilità.

Ottime performance in tutte le serate di questa edizione del Festival di Sanremo, ma ieri sera mi ha toccato profondamente la sua “C’è la vie”, annunciato dal ballerino classico Giacomo Castellana.

Achille Lauro e quel suo monologo travolgente:

È giunto il nostro momento. La nostra stessa fine in questa strana fiaba. La più grande storia raccontata mai. Maschere dissimili recitano per il compimento della stessa grande opera. Tragedia e commedia. Essenza ed esistenza. Intesa e incomprensione. Elementi di un’orchestra troppo grande per essere compresa da comuni mortali. È giunto il nostro momento. Colpevoli, innocenti. Attori, uditori. Santi, peccatori. Tutti insieme sulla stessa strada di stelle. Di fronte alle porte del Paradiso. Tutti con la stessa carne debole. La stessa rosa che ci trafigge il petto. Insieme, inginocchiati davanti al sipario della vita. E così sia. Dio benedica Solo Noi. Esseri Umani”.

Achille Lauro e quella rosa piantata nel petto, che sanguina e che fa male come quelle parole violente e terribili che l’hanno investito e travolto spesso, durante il suo inizio di carriera: “Achille Lauro fai schifo, sei una vergognosa, mi fa schifo solo l’idea, vergognoso, volgare, inutile pagliaccio“.

E lui, canta, “C’è la vie”.

Zlatan Ibrahimovic ospite fisso, che fa ridere di tanto in tanto, che di sé parla in terza persona, che è stato serata dopo serata, un personaggio adeguato alla kermesse.

Tra le giovani proposte, vince un giovane con un nome davvero improbabile, Gaudiano, che sbaraglia tutti anche lui, Folcast, di cui sentiremo parlare molto in futuro,  il più bravo di tutti, a mio avviso con la sua “Scopriti” ed anche Davide Shorty dato per favorito con “Regina”, pezzo dalle sonorità già sentite e che mi ha ricordato moltissimo “un amore da favola” che fu di Giorgia.

Amadeus ha dichiarato che non presenterà il prossimo festival di Sanremo. 
Intanto anche per quest’anno – anno non facile –  ha saputo con garbo reggere le redini della famosa Kermesse canora, con indosso i suoi abiti – improbabili fuori dal palco sanremese – e con la serietà di chi non si piega neanche davanti alle critiche e alle offese che hanno investito la sua famiglia.

Tralascio la questione ascolti, perché quest’anno è tutto un po’ così.
Il coprifuoco ha forse “costretto” qualcuno davanti alla tv in questi giorni, ma c’è stato anche il fenomeno dei giovanissimi che hanno guardato Sanremo, e questo fenomeno andrebbe studiato.

Embè? – direte.
Non dici nulla sui vincitori?
Beh … meritavano il finale.

I Maneskin, vincitori della 71esima edizione, hanno sdoganato il rock a Sanremo, luogo della classica canzone sanremese; sono giovani e capaci di ulteriore miglioramento. Hanno una loro personalità artistica e li ho molto apprezzati nella serata dei duetti insieme a Manuel Agnelli nella loro versione di “Amandoti” dei CCCP. Meglio loro che Fedez, non erano i miei preferiti, non so se ricorderemo il refrain nei prossimi mesi, io sicuramente no ma sono contenta per i loro fan, mia sorella compresa.

Lunga vita ai Maneskin e alla musica, perché è lei che ci salva … sempre.

Simona Stammelluti 

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