Negli anni Cinquanta, quelli più vicini al dopoguerra, il Venerdì Santo era una giornata di lacrime e di dolore.
La Madonna Addolorata, con lo sguardo rivolto al cielo, il pugnale nel petto, e un candido fazzoletto tra le mani, seguiva il Cristo che portava la croce.
Saliva dalla Chiesa dell’Addolorata, in fondo alla via Garibaldi, al cupo rullo dei tamburi coperti con un drappo nero, e al passaggio tra la folla mogli e madri di mariti e figli prigionieri o scomparsi in guerra vedevano piangenti nel volto della Madonna Addolorata il volto del loro congiunto.
Giornata triste, la processione avanzava per le vie della città, e si levava un canto con le tristi note della Jone.
A sera il Cristo morto stava nell’urna, opera singolare per verosimiglianza; La Madonna seguiva fino al divaricarsi della processione: l’urna saliva al Duomo, Chiesa di San Gerlando, la Madonna scendeva verso la Chiesa dell’Addolorata.
Al divagarsi si levava un canto che era un conforto che nella notte quieta e stellata, portava pace nell’animo di tutti.
Toto Cacciato