Maria Falcone e l’ergastolo ostativo

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La Corte Costituzionale ha deciso di non decidere sull’ergastolo ostativo. L’intervento di Maria Falcone che cita il caso di uno dei mandanti dell’omicidio del giudice Livatino.

E’ stata emessa l’attesa sentenza della Corte Costituzionale nel merito della questione di legittimità costituzionale sull’ergastolo ostativo, ossia del no alla liberazione condizionale e ad altri benefici carcerari per i detenuti condannati per reati di mafia che abbiano scontato 26 anni di carcere e che non hanno collaborato con la giustizia. Quando invece la libertà condizionata e altre premialità sono concesse a tutti gli altri detenuti con 26 anni di carcere sulle spalle. Si tratta di quanto prevede l’articolo 4 bis comma 1 dell’ordinamento penitenziario su cui si è pronunciata la Corte Costituzionale. Ebbene la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’ergastolo ostativo ma – attenzione – la Corte ha aggiunto che la norma sull’ergastolo ostativo potrà essere applicata ancora, almeno fino a quando il Parlamento non deciderà di intervenire. Il termine per la decisione del Parlamento è stato fissato al maggio 2022. Tanti magistrati e addetti ai lavori antimafia hanno già sollevato le barricate contro un eventuale accoglimento della tesi della non costituzionalità dell’articolo sull’ergastolo ostativo, perché, tra l’altro, ciò è stato una delle richieste contenute nel ‘papello’ di Totò Riina. Ancora ebbene, dopo il rinvio della decisione dalla Corte Costituzione al Parlamento, ovvero il legislatore, interviene Maria Falcone, sorella del giudice vittima della strage di Capaci, che commenta: “Dopo la decisione della Consulta che solleva dubbi di costituzionalità sull’ergastolo ostativo, mi auguro che il legislatore intervenga presto in modo però da non pregiudicare l’efficacia di una normativa antimafia costata la vita a tanti uomini delle istituzioni”. E poi aggiunge: “Chiunque abbia una conoscenza minima del mondo mafioso, però, sa che solo la collaborazione con la giustizia spezza i legami tra l’uomo d’onore e il clan. Concedere la libertà condizionale o altri benefici, a prescindere dalla scelta netta della piena collaborazione, sarebbe un errore pericolosissimo. Come sarebbe sbagliato e grave lasciare ai giudici, sovra-esponendoli, la discrezionalità di scegliere caso per caso”. Poi Maria Falcone cita in particolare il caso di uno dei mandanti dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, Antonio Gallea, di Canicattì, arrestato dai Carabinieri lo scorso 2 febbraio nell’ambito dell’inchiesta antimafia cosiddetta “Xydi”. Antonio Gallea ha scontato 25 anni per l’assassinio di Livatino, ed è stato ammesso alla semilibertà dal tribunale di sorveglianza di Napoli il 21 gennaio del 2015 perché ha mostrato la volontà di collaborare con la giustizia, ritenuta poi impossibile perché Gallea ha citato avvenimenti già noti alla magistratura non apportando, dunque, contributi nuovi alle indagini. E Maria Falcone, riferendosi a Gallea, afferma: “Indagini recenti, ma gli esempi che potrei citare sono tantissimi, dimostrano quanto la materia sia insidiosa. Solo qualche mese fa è venuto fuori da un’indagine che un killer della Stidda, condannato all’ergastolo per avere ucciso il giudice Livatino, ed al quale erano stati concessi permessi premio sulla base di un presunto ravvedimento, appena rientrato nel suo ambiente è tornato alla guida del clan”.

 

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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