Una giornata al Policlinico Gemelli di Roma, in uno dei reparti di oncologia, quello al seno.
Sembra di essere in un mondo a parte.
È un luogo dove tutti hanno un preciso ruolo, dove l’organizzazione è massima, dove nulla è lasciato al caso e dove la gentilezza si respira in ogni angolo di quel posto dove si curano donne affetta da neoplasie, dove la speranza pesa quanto la bravura dei medici che in quell’ospedale lavorano alacremente per salvare vite umane.
Il Prof. Riccardo Masetti, dirige il dipartimento scienze della salute della donna e l’unità operativa complessa di chirurgia senologia del Policlinico Gemelli. È un grande luminare e come spesso accade, più ci si imbatte in professionisti di grande caratura più ci si trova dinanzi interlocutori di grande sensibilità, umiltà, umanità, oltre che di straordinaria bravura. Tutto il suo entourage è altamente qualificato e capace di interagire con i pazienti, in una maniera disarmante.
Sono in compagnia di una donna che ha bisogno di un consulto. Lei è in cura in un ospedale del sud: “chissà che a Roma non si possano avere cure migliori”.
Al Gemelli sono tutti in perfetto orario, veniamo accolti da una dottoressa che provvede a ricostruire lo storico della malattia della paziente. Nessuna incertezza, risponde a tutte le nostre domande.
Attendiamo il Prof. Masetti.
Arriva, ci saluta e ci sorride da sotto alla mascherina.
È uguale a come abbiamo imparato a conoscerlo attraverso le trasmissioni mediche in tv.
La sua gentilezza lo precede.
Porta appuntati sul camice bianco la spilla “io mi sono vaccinato contro il covid” e poi il fiocchetto rosa simbolo della prevenzione contro il cancro al seno.
Dopo un’accurata visita, il professore che ci siede difronte, ci spiega in cosa consiste quel genere di tumore e come lo si affronta. Lo fa con calma, con parole comprensibili e con una sicurezza che lascia ben poco spazio a dubbi.
I protocolli sperimentali – ci dice riferendosi a quel preciso tumore – sono in continua evoluzione.
“Non è più come decenni addietro – afferma – quando ci volevano 5, 10, 15 anni per scoprire farmaci e terapie che potessero essere messe a disposizione dei pazienti oncologici; oggi siamo nella misura di 5, 10, 15 mesi, e questo vuol dire che fra un anno, potremmo essere in grado di gestire questo genere di patologia, con farmaci e terapie più efficaci e meno invasive. Per questo bisogno avere fiducia nella scienza, sostenere la ricerca e soprattutto affrontare questa malattia con ottimismo, concentrandosi su sé stessi, sulla propria persona, prendendosene cura, con dedizione, e poi ancora con una adeguata attività fisica, un’alimentazione corretta e dosi massicce di buonumore“.
Gli domando se quella paziente l’avrebbe curata nello stesso modo, se si fosse rivolta a lui e a quel centro di eccellenza in prima battuta.
Mi risponde che nel centro dove la signora è in cura, stanno facendo molto bene per il suo caso, che quel genere di protocollo è adeguato, che anche riguardo all’intervento al seno fatto prima del primo ciclo di chemioterapia “è stato fatto un ottimo lavoro”.
Poi aggiunge:
“Siamo soliti far sì che a parità di trattamento, i pazienti siano quanto più vicini a casa e probabilmente avrei consigliato proprio di curarsi in quell’ospedale al sud“.
Torniamo a casa, torniamo al sud con qualche certezza in più, con più speranze ma anche con una consapevolezza e una domanda: se è vero – come è vero viste le parole del grande luminare – che abbiamo in Calabria dei centri dove si somministrano cure adeguate, con protocolli anche sperimentali efficaci, che ci sono medici e chirurghi capaci, allora perché questa terra continua ad essere anche nel campo medico, il fanalino di coda?
Perché alla fine i medici bravi vanno via?
La risposta resta sempre la stessa.
Questa terra è amministrata male, ci sono troppi interessi in ballo. E poi perché manca l’organizzazione e la pianificazione dei servizi sanitari, perché si costruiscono grandi strutture ma poi non ce ne si prende cura, perché è penalizzata nel riparto del fondo nazionale.
Ne potremmo parlare a lungo, ma mi viene in questo momento di soffermarmi sulle parole del Prof. Masetti: “avere fiducia” e ormai abbiamo capito che è questo il bene primario che non dovrebbe mai mancare, ancor prima dell’ottimismo e della certezza di essere curati nella maniera migliore proprio nel posto dove si vive.
Eppure, facciamo davvero ancora tanta, tanta fatica a tenere in vita la fiducia.