Matteo Messina Denaro sarebbe stato dietro il movimento politico “Sicilia Libera”, che dopo le stragi avrebbe dovuto aggregare mafia, massoneria e destra eversiva.
Emergono altri particolari inediti, quanto rilevanti, dalle motivazioni che i giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta da Roberta Serio, hanno appena depositato a sostegno della sentenza, emessa il 21 ottobre del 2020, che ha condannato Matteo Messina Denaro all’ergastolo anche per le stragi di Capaci e via D’Amelio contro Falcone e Borsellino. Infatti, secondo i magistrati, il boss latitante dal giugno del 1993 sarebbe stato dietro il partito “Sicilia Libera”, ovvero il movimento politico che avrebbe dovuto aggregare uomini di Cosa Nostra e personaggi della massoneria deviata e della destra eversiva, in un progetto politico da attuare dopo le stragi del 1992. E nelle motivazioni si legge testualmente: “La primazia di Matteo Messina Denaro all’interno di Cosa Nostra è disvelata dal ruolo assunto nel progetto politico di carattere autonomista, indipendentista e secessionista di ‘Sicilia Libera’, sorto nel 1993, in quella fase storica di grande fermento partitico seguita al terremoto ‘Tangentopoli’. Nonostante la fugace apparizione del movimento politico ‘Sicilia Libera’, non mancò certo l’impulso di Matteo Messina Denaro” – concludono i giudici. Il movimento ‘Sicilia Libera’, come confermato recentemente da alcune intercettazioni in carcere del boss Giuseppe Graviano, naufragò alla vigilia delle elezioni politiche del 1994 in cui vi fu l’exploit elettorale di Forza Italia di Silvio Berlusconi. Poi, ancora nelle motivazioni, i giudici della Corte d’Assise rivolgono apprezzamento verso l’operato e l’impegno della Procura di Caltanissetta, retta da Gabriele Paci. E scrivono: “Encomiabile è la determinazione dell’organo di accusa di scavo archeologico, e contemporaneo insieme, di tutti gli elementi dichiarativi e documentali”.
Poi la Corte d’Assise nissena rievoca il malcontento all’interno di Cosa Nostra dopo la sentenza della Cassazione, emessa il 30 gennaio del 1992, che confermò le condanne del maxi processo istruito da Falcone e Borsellino. E che, dopo tale fallimento di Totò Riina, che aveva rassicurato sull’esito positivo del giudizio della Cassazione, si susseguirono le riunioni ristrette in cui furono deliberate le stragi del ’92. E i giudici scrivono ancora: “E’ in quei mesi che i nomi dei Graviano e di Messina Denaro si intrecciano e intersecano le principali vicende della prima metà degli anni ’90, e soprattutto il passaggio della stagione stragista dalla Sicilia nel ’92 a tutta Italia, tra Roma, Firenze e Milano, nel ’93, divenendo – con una efficace immagine metaforica – ‘il secco e la corda’, come riferito dal pentito Giovanni Brusca, che nello stesso periodo, a una richiesta di chiarimenti sulle stragi, si sentì dire da Riina: ‘i picciotti sanno tutto’”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)