Le bombe mafiose anche ai Templi di Selinunte

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Il processo a Caltanissetta rileva altri particolari sulla strategia mafiosa stragista. Riina propose anche l’esplosione dei Templi di Selinunte, ma Messina Denaro si oppose.

Ancora dal processo concluso innanzi alla Corte d’Assise di Caltanissetta con la condanna di Matteo Messina Denaro all’ergastolo, riconoscendolo tra i mandanti delle stragi Falcone e Borsellino, sono emersi altri particolari inediti relativi al periodo che ha insanguinato la Sicilia e il resto d’Italia tra il ’92 e il ’93. Infatti, il procuratore aggiunto Gabriele Paci, nel corso della requisitoria, ha spiegato: “Matteo Messina Denaro è uno yes-man, non è mai venuto alla ribalta per una contrapposizione con quelli che contavano. Ma con le stragi del 1993 vengono allo scoperto le riserve delle vecchie famiglie contro gli attentati in Sicilia, perché, come suppone il teorema Buscetta, ogni boss sarebbe stato ritenuto responsabile delle stragi commesse nel suo territorio. Ecco perché, ad esempio, come ha raccontato il pentito Vincenzo Sinacori, Matteo Messina Denaro si oppose al progetto di fare saltare in aria i Templi di Selinunte, a casa sua, nel Comune di Castelvetrano. E disse: “Questi sono pazzi”. Dunque, chi volle il prosieguo delle stragi, non le volle a casa propria. Per fare gli attentati al Nord non c’era bisogno di autorizzazioni, mentre in Sicilia avrebbero dovuto raccogliere le adesioni di tutte le famiglie siciliane” – conclude Paci. Secondo una deduzione del pentito Sinacori, Riina propose l’esplosione dei Templi di Selinunte per sondare la disponibilità di Messina Denaro a collaborare alla strategia delle cosiddette “bombe del dialogo con lo Stato”. Infatti, il messaggio mafioso di Riina a Matteo Messina Denaro è più che esplicito: “O mi aiuti a mettere le bombe o te le faccio mettere a casa tua”. E poi, in riferimento a quanto accadde dopo le stragi Falcone e Borsellino, Gabriele Paci ha aggiunto: “Dopo le stragi del ’92 tutto lo stato maggiore di Cosa Nostra passò la latitanza nel Trapanese, dove c’è la sicurezza che nessuno li vede: sia per l’assistenza degli uomini d’onore che per la mancanza di contaminazione di pastori che ti vendono per quattro denari. E in effetti Giovanni Brusca trascorse la latitanza tra Castellammare del Golfo e Valderice, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano si rifugiarono a Castelvetrano, nella frazione di Triscina, mentre Totò Riina e Leoluca Bagarella passarono i mesi successivi a Mazara del Vallo, come testimoniato da alcune fotografie in cui i due furono immortalati durante un bagno a mare nel mazarese insieme ai figli. Poi, dopo gli attentati del 1993, tra Roma, Firenze e Milano, arrivò un momento in cui capirono che le bombe da sole potevano rivelarsi inefficaci, anche perché il numero dei pentiti stava crescendo, e questo non era un segnale di resa dello Stato. Infatti, iniziano a collaborare con la Giustizia nel ‘92 Leonardo Messina, Gaspare Mutolo, Giuseppe ‘Pino’ Marchese, e Giovanni Drago. E nel ’93 Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera. Ecco perché si iniziò a pensare all’idea politica del movimento ‘Sicilia Libera’, ossia Cosa Nostra che si distacca dai referenti politici e diventa essa stessa soggetto politico”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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