Relazione Dia, Cilona: “Raddoppiate denunce per estorsioni, ma c’è ancora tanto da fare”

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La “pressione” mafiosa continua a condizionare lo sviluppo economico depauperando il tessuto sociale e produttivo della provincia di Agrigento. Lo stesso capoluogo versa in una situazione critica evidenziando carenze infrastrutturali e organizzative dovute alla “parassitizzazione” dell’imprenditoria e del commercio da parte delle consorterie. Si legge nella relazione semestrale (1 luglio-31 dicembre 2020) della Dia di Agrigento, guidata dal vice questore della polizia di Stato, Roberto Cilona. “Il contesto agrigentino risulta in maniera evidente l’esistenza di un contrasto attivo da parte dello Stato al crimine organizzato, ne sono prova alcune operazioni messe a segno, nello specifico dalla polizia di Stato, soprattutto il blitz Mosaico, che ha messo fine alla faida sull’asse Agrigento-Belgio, e anche l’operazione a Palma di Montechiaro che ha disarticolato il ‘paracco’ – afferma il dirigente Cilona -.  Altro aspetto è il dato che ci restituisce il semestre di riferimento vede più che raddoppiate le denunce per estorsione. E’ un dato che ci auguriamo sia sempre maggiore nel tempo, perché denunciare l’estortore è il primo passo, per garantire le migliori condizioni possibili di contrasto alla mafia”. Ventisei gli episodi di estorsioni denunciati, rispetto ai 14 del semestre precedente.

Al riguardo nelle pagine del documento, emerge anche un passaggio del prefetto di Agrigento, Maria Rita Cocciufa, evidenzia che la “… povertà culturale, non disgiunta da quella economica, determina una situazione di arretratezza nella quale continuano a proliferare le regole dettate dalla criminalità organizzata. Anche gli Enti locali, in molti casi rappresentati da Amministratori non sempre all’altezza dei complessi compiti e con apparati amministrativi caratterizzati da carenze di professionalità oltre che di risorse finanziarie, stentano a rispondere adeguatamente alle istanze dei cittadini; tale situazione è aggravata dalla assenza di organismi intermedi espressione della cosiddetta ‘società civile’, particolarmente restia a impegnarsi e a partecipare fattivamente a quello che dovrebbe esse il perseguimento del bene comune”. Il pervasivo condizionamento sociale sarebbe tra l’altro rilevato dall’inclinazione verosimile dei cittadini a rivolgersi all’organizzazione mafiosa per la risoluzione di problematiche private, come nel caso dei tre soggetti che hanno chiesto l’autorizzazione al boss Fragapane di Santa Elisabetta, per ammazzare il pensionato raffadalese Pasquale Mangione.

Il contesto criminale della nostra provincia è caratterizzato dalla presenza diffusa di Cosa Nostra che confermerebbe la sua ripartizione in area in 7 mandamenti, nel cui ambito risultano operare 42 famiglie. Si tratta di un numero di articolazioni particolarmente elevato in relazione alla limitata vastità del territorio e soprattutto considerando che anche la Stidda continua a registrare un ruolo di rilievo in alcune porzioni della provincia,  Cosa nostra agrigentina conferma i caratteri di un’organizzazione verticistica e rispettosa delle tradizionali regole. Evidenzia inoltre collegamenti con le famiglie catanesi, nissene, palermitane e trapanesi non disdegnando rapporti con realtà criminali oltre lo Stretto. Emblematiche nel senso le risultanze dell’operazione “Passepartout” del novembre 2019, che ha inoltre disvelato il tentativo di ricostituzione di una rete di relazioni anche di carattere internazionale. Particolarmente rilevante per la ricostruzione delle dinamiche criminali della provincia è poi l’operazione “Xydy”,  conclusa il 2 febbraio 2021. Più nel dettaglio l’investigazione si è incentrata sul mandamento di Canicattì, epicentro di un potere mafioso capace di proiettarsi sull’intera area orientale della provincia agrigentina.  Tra i destinatari del relativo provvedimento di fermo c’è infatti anche il latitante Matteo Messina Denaro che avrebbe mantenuto attive le comunicazioni con i capi delle famiglie agrigentine e un ruolo di rilievo per le decisioni strategiche. Risulta infatti che al latitante i capimafia della provincia “…riconoscono unanimemente l’ultima parola sull’investitura ovvero la revoca di cariche di vertice all’interno dell’associazione…”.

Alcune difficoltà si riscontrerebbero sulla scelta per la reggenza di mandamenti e di famiglie resa necessaria dalle catture, e contrasto investigativo. In altri casi è da sottolineare la rilevanza delle scarcerazioni di importanti boss (nel periodo si segnala la scarcerazione di un soggetto arrestato il 6 marzo 2007, all’epoca ritenuto “uomo d’onore” della famiglia mafiosa operante a Favara), che facendo ritorno al territorio d’origine, potrebbero essere intenzionati a riconquistare l’antico potere anche in forza di personali contatti con altre consorterie. Si sarebbe evidenziata inoltre una sorta di “emigrazione criminale” verosimilmente conseguente alla volontà di abbandonare un’area troppo “sfruttata” per trasferire i propri interessi illeciti in territori, dove il fenomeno mafioso non risulta ancora immediatamente riconoscibile. La forte emigrazione agrigentina in Europa, e verso il continente americano avrebbe inoltre condotto alla ricostituzione in territorio straniero di aggregati delinquenziali che mantengono legami “d’affari” con quelli locali. Tradizionalmente le consorterie agrigentine occidentali appaiono proiettate verso i Paesi del nord America e in taluni casi dell’America latina (specie Venezuela e Brasile), mentre quelle del versante orientale verso i Paesi del nord Europa, con particolare riguardo a Germania e Belgio.

Le attività criminose si realizzano in primo luogo tramite la consueta pressione estorsiva sulle attività imprenditoriali, anche agropastorali, esercitata con minacce e danneggiamenti. Per altro verso numerosi sono gli arresti di soggetti che gestiscono le locali “piazze” di spaccio. Altro settore d’interesse mafioso è quello relativo al controllo del gioco d’azzardo. Al riguardo, è da segnalare il sequestro122 operato dalla Dia, tra il settembre e l’ottobre 2020, del patrimonio di un imprenditore del comparto per un importo stimato in circa 1 milione e 200 mila euro. Va poi evidenziata la sinergia tra la criminalità organizzata e alcuni esponenti di quell’”imprenditoria grigia” che intrattengono relazioni d’affari con cosa nostra o con altre organizzazioni di tipo mafioso. È inoltre significativa la capacità di Cosa nostra agrigentina di orientare le scelte degli Enti locali per l’aggiudicazione degli appalti pubblici, attraverso l’infiltrazione, il condizionamento o la corruzione. Pratiche che hanno condotto nel corso degli ultimi anni allo scioglimento di diversi Comuni. Nel periodo in esame è stato eseguito un provvedimento di sequestro operato dalla Dia nel luglio 2020 dei beni riconducibili a due fratelli intranei alla famiglia di Favara, e attivi nel settore edilizio e del movimento terra. Nel contesto criminale agrigentino continuano infine a operare gruppi di matrice etnica, in particolare si tratta di compagini maghrebine, egiziane e romene. Esse sono tollerate dai sodalizi mafiosi in quanto dedite a pratiche illecite non di diretto interesse quali il riciclaggio di materiale ferroso, i reati predatori, lo sfruttamento della prostituzione e lo spaccio al dettaglio di sostanze stupefacenti. In termini prospettici, si può ritenere che l’egemonia di Cosa nostra proseguirà, con il mantenimento di “un equilibrio” con la Stidda nei territori d’elezione della stessa.

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