Imminente il trentesimo anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio. L’intervento di Nino Di Matteo sullo stato attuale della lotta alla mafia.
I prossimi 23 maggio e poi 19 luglio ricorrono i 30 anni dalle stragi di Capaci e di Via D’Amelio e dalla morte di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, e dei poliziotti di scorta. Furono i due avvenimenti che bagnarono di sangue la fine della prima Repubblica e l’avvento della seconda, iniziando dall’arresto di Mario Chiesa a Milano il 17 febbraio precedente.
Ebbene, sul tema è intervenuto Nino Di Matteo, in occasione di una tappa del tour di presentazione del suo libro intitolato “I nemici della giustizia”, scritto insieme a Saverio Lodato. La disamina di Nino Di Matteo non nasconde sconforto e scoraggiamento. Il magistrato infatti ha affermato: “La lotta alla mafia è di importanza fondamentale in quanto non è una semplice questione di repressione criminale. E’ una questione di attuazione della Costituzione, di libertà dei cittadini e dei diritti dei cittadini garantiti dalla Costituzione, laddove sono quotidianamente calpestati. Eppure la lotta alla mafia, intesa non solo come lotta all’ala militare delle organizzazioni mafiose ma come lotta al metodo mafioso, non è mai stata veramente al centro delle agende politiche degli ultimi governi che si sono succeduti. Quest’anno ricorre il trentennale delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Saremo letteralmente inondati purtroppo da una vuota retorica fondata soltanto sulla spinta alla emozione. E’ giusto che l’emozione sia provocata e tramandata, ma non basta: quello che servirebbe è la memoria, che significa consapevolezza di quello che è accaduto e consapevolezza di quello che sta accadendo. Per esempio significherebbe consapevolezza di un dato. E’ scritto nelle sentenze definitive che le stragi del 1992 e del 1993 sono state organizzate, ideate ed eseguite da Cosa Nostra e probabilmente non solo da Cosa Nostra, con uno scopo: quello di costringere lo Stato a modificare determinate leggi. Nella mente di Riina e degli altri quelle stragi dovevano servire a ricattare lo Stato per costringerlo in ginocchio, e costringerlo ad esempio ad eliminare ergastolo. Oggi, anche in esito alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte Costituzionale Italiana, ci troviamo in presenza di una situazione nella quale il cosiddetto ‘ergastolo ostativo’ sta per essere abolito. Allo stesso modo sentiamo parlare quotidianamente che sta per essere svuotato il sistema penitenziario di cui al 41bis dell’ordinamento penitenziario. Io non vorrei che a 30 anni dalle stragi tutto questo portasse ad una conseguenza: la realizzazione paradossale di alcuni degli intenti che gli stragisti intendevano perseguire e la liberazione di quelli che sono stati condannati per le stragi”.
E poi, in conclusione, Nino Matteo, volgendo attenzione verso il futuro, ha prospettato: “La storia ci dovrebbe insegnare che il fenomeno mafioso si può debellare non soltanto attraverso un impegno di alcuni magistrati, alcuni poliziotti o alcuni carabinieri. Ma attraverso due condizioni essenziali: in primo luogo con una lotta politica. La politica dovrebbe stare in prima linea nella lotta a Cosa nostra, come in prima linea era Pio La Torre quando, nelle sue relazioni di minoranza, scriveva i nomi e i cognomi dei politici collusi con i corleonesi di Totò Riina e Luciano Liggio, prima che quei nomi fossero nelle sentenze della magistratura o nei rapporti della polizia. La seconda condizione essenziale passa da una rivoluzione culturale che deve partire dai giovani e da un sentimento di indignazione nei confronti di quello che continua ad accadere nel nostro Paese e nella nostra terra”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)