Gino strada e le sue convinzioni granitiche sulla guerra, nel libro “Una persona alla volta”

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Ho terminato la lettura del libro di Gino Strada “Una persona alla volta” qualche giorno fa, ma ho dovuto attendere un po’ prima di scrivere questo articolo, perché le emozioni che ti travolgono sono tante, la commozione davanti alla sua meravigliosa utopia non ti lascia indifferente e se è vero che un libro come questo, che racconta di vita vera, deve indurre delle riflessioni, beh, quelle riflessioni hanno bisogno di alcuni giorni per trovare il proprio posto, o compimento, come direbbe lui.

E così in punta di piedi e con tutta la delicatezza che conosco, provo a raccontarvi questo libro, che tutti – oggi più che mai – dovrebbero leggere.
E magari potremmo farlo nei momenti liberi, al posto delle nostre disquisizioni asfissianti ed anche banali che ormai siamo soliti fare al bar, al telefono, o sui social, dove ci atteggiamo a persone che sanno tutto sulla guerra, sui perché, sui perché no, ma davvero poco sanno sulle conseguenze a lungo termine di un conflitto. Quello che sappiamo di ciò che accade ai civili lo vediamo in tv, ma sempre comodamente seduti sul divano di casa, dalla comodità e dalla libertà di essere, pensare, agire, fare o non fare.

Una delle cose che più mi ha colpito di questo libro che per davvero non è un’autobiografia ma il racconto toccante di come si possono salvare vite umane e diritti del singolo che poi diventano di tutti, è scritta nella postfazione curata da Simonetta Gola, moglie di Gino Strada che lo descrive come una “persona libera”, con quel suo modo straordinario di abitare il mondo, qualunque cosa facesse. E allora mi sono domandata cosa avrebbe detto oggi, con la sua perentorietà ai fautori di questa assurda guerra, ma anche agli ucraini, che proprio in nome della libertà stanno resistendo. Anche il “resistere” è parola cara a Gino Strada. Ha resistito lui, mentre cercava di curare e salvare le vittime delle guerre dentro le quali lui ha messo letteralmente le mani. E lui sì che di guerra poteva parlare perché l’aveva vista in faccia, l’aveva sfidata e poi vinto ogni qualvolta ha prima salvato una persona alla volta, e poi ha urlato verso chi rendeva i civili vittime.

“Se nove vittime su dieci sono civili, non è più normale. Non è più la stessa guerra. Non si dovrebbe nemmeno chiamarla tale”

Leggendo il racconto delle vittime di altre guerre, si fa presto a pensare ai civili di Mariupol, città martire della guerra in Ucraina. Anche loro, come i feriti salvati da Gino Strada, erano persone che stavano facendo una propria vita prima che una mitragliata o un’esplosione la cambiasse per sempre. L’atrocità della guerra, la disumanità della guerra, la violenza che distrugge vite e toglie dignità e possibilità di futuro. E chi resta, fa i conti con la disperazione e il dolore.

Nel libro Gino Strada racconta la sua vita spassionatamente, senza nascondersi mai. Parla della sua famiglia di origine, del dolore che si prova quando si perde una persona cara, di come ci voglia del tempo, per capire l’amore.

È stato un concentrato di efficenza ed efficacia; perché lui sapeva quanto difficile fosse poter curare persone in posti del mondo dimenticati da Dio e dagli uomini (o meglio dai potenti), luoghi dove la fame e le malattie e la guerra rendeva tutto quasi impossibile, ma lui pensava, agiva, realizzava, tutto con efficienza e a volte impiegando le risorse minime indispensabili. Davanti ad un problema, aveva bisogno di fare.

Era quel binomio bisogno/azione che lo aveva fatto appassionare alla chirurgia. E così la passione per la medicina, insieme all’antifascismo, alla politica e alla militanza, erano diventate le radici che lo tenevano ben saldo, ovunque fosse andato nel mondo. Racconta quel mondo visto, vissuto e salvato con una semplicità disarmante, come se creare ospedali ai confini del mondo, dove non c’è nulla se non il dolore, fosse una cosa semplice. Perché lui, non aveva scelto quel lavoro perché mosso irresistibilmente dal bisogno di salvare vite umane, ma aveva semplicemente scoperto quanto gli piacesse farlo.

Ha speso la sua vita a studiare le dinamiche delle guerre, le motivazioni sempre meno plausibili, cercava di capire, di saperne di più con la forza di chi non si rassegna mai. Non si è mai rassegnato Gino Strada, non si è mai girato dall’altra parte ed anche se non poteva fermare la follia delle guerre che incontrava sul suo cammino, poteva curare le sue vittime.

Spesso, il fondatore di Emergency ha detto la frase “mi sono sbagliato“. Ma subito dopo essersi indignato, agiva.
Gino Strada mi ha insegnato che per davvero da soli si può fare ben poco, che la cooperazione è sempre la soluzione, che il coinvolgimento, le energie comuni, la condivisione, il sostegno, rendono possibili alcuni progetti impossibili. E dove finisce tutto questo, finisce la storia.

Regole di condotta, codici di comportamento, valgono nella vita di tutti i giorni, ma non nella guerra.
Lo dice a gran voce Gino Strada.

Non vi è nessuna differenza sostanziale quando decidi di uccidere.

Ripensavo non solo alla guerra però, dopo questa sua affermazione. Penso a tutte le volte che si muore per mano di un proprio simile. Regole comportamentali dismesse come un vecchio abito, codici etici del vivere, rottamati in cambio della follia.

Molto toccante il passaggio dove racconta le ragioni del più forte. I suoi occhi hanno visto vittime sempre uguali di guerre diverse.

“Ma verrà anche il momento della guerra di tutti contro tutti”.  

Spesso mi sono espressa circa la necessità di studiare per capire. Senza il sapere, si brancola nel buio. E questo libro, a tratti, funge da fonte straordinaria di nozioni, circa gli innumerevoli tentativi che ci sono stati nella storia, di costruire letteralmente la pace.

E poiché la guerra non si può umanizzare, la si può solo abolire. 

Questo disse Einstein nel 1932 alla conferenza generale sul disarmo tenutasi a Ginevra.
Einstein non pensava certo di abolire la guerra con un trattato, ma con un salto di qualità della coscienza collettiva. Convivere senza uccidersi.
Iniziavano a prendere forma le parole Pace ed Utopia.

Si parlavano da esseri umani ad essere umani pur avendo divergenze profonde.
Quanto siamo capaci noi di parlarci oggi “da esseri umani ad essere umani” pur avendo profonde divergenze di opinione?

Vorrei raccontare ancora tanto di questo libro, ma lascio al lettore la possibilità di immergervisi di dentro e di trovare un proprio filo magico che lo conduca dritto dritto alla propria vita quotidiana. Dalla straordinarietà di ciò che Gino Strada ha fatto per una vita intera, come se fosse normale, alla normalità delle nostre esistenze che però possono diventare straordinarie se solo grazie al suo esempio siamo pronti ad accogliere, aiutare, fare squadra, comprendere.

Un giorno dell’anno 2001 Gino Strada capì di non essere un pacifista, ma solo un uomo che era contro la guerra.
E allora mi sono chiesta perché nelle trasmissioni televisive spesso in questi mesi abbiamo sentito pacifisti, che mai si sono espressi a gran voce contro la guerra e chi l’ha avviata e ancora oggi si arroga il diritto di sovrintendere il destino del mondo.

Troppo facile dirsi pacifisti, diceva lui. Quanto aveva ragione …

E allora è possibile un mondo senza guerra?
Bella domanda.
Neanche Gino Strada seppe mai rispondere a questa domanda.
Lui era convinto che tutto ciò che può sembrare utopico alla fine può avvenire.

L’utopia è solo qualcosa che ancora non c’è.

L’abolizione della schiavitù, della ghettizzazione erano ideali utopici – dice Strada – ma alla fine ci si è riusciti a compierli.
Ed anche se c’è ancora qualche forma di schiavitù e il razzismo è una moderna forma di ghettizzazione, la logica intrinseca è stata annientata.
Perché alla fine è una questione etica. C’entra sempre l’etica, perché esistono il bene ed il male.

E allora forse un giorno, anche la vita senza guerra potrà essere realtà.
Un giorno. Forse. Oggi no.

 

 

 

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