di Berta Ceglie
All’inizio è il Caos, non la confusione senza regole come lo s’intende oggi. Nella mitologia greca, il caos era il principio della creazione e non un’accozzaglia di elementi sfuggenti che non trovavano una collocazione nell’insieme del meraviglioso apparato che sarebbe dopo scaturito, Il Caos era una bocca spalancata da cui poi la meraviglia scaturiva. Poi nasce l’idea, l’intuizione, la forza, il progetto, il sentiero da seguire, il disegno, la traccia abbozzata su un foglio di carta che supporta le ossa, i tendini, i muscoli, le diverse sostanze fondamentali, i gas, l’acqua, i minerali, le proteine, il sangue e tutto il resto, che daranno forma, consistenza, energia, slancio, pulsione a quello che sarà, dopo l’alchimia degli elementi, alla creatura viva, scalpitante, ansiosa di vivere, che gioisce e fa gioire. Ma senza l’idea, fondamentale appiglio, tutto il resto cade e non ha senso. Così nasce un’opera da d’arte dalla magia di un artista che intuisce il senso di qualcosa di grande, d’irripetibile che deve essere colta al volo. Dopo c’è la costruzione, la fatica, il sudore, la scrittura poetica, l’ordine dettato dalle regole dell’estetica inequivocabile che permette a cose diverse di trovare armonia, eleganza, essenzialità, essenzialità, significati e significanti, questo è il processo creativo che precede qualsiasi stupore dell’arte. E la parola è la prima cosa che nasce, fermenta, costruisce, sgorga, edifica, portandosi dentro la forza della poesia: la poesia! La poesia la vera magia che unisce, equilibra e dà vita a qualcosa di speciale e irripetibile. Va bene la musica, nessuno lo nega, ma senza questi fatti innegabili, procedurali, il musicista dove appende le sue note? Nel nulla! Tutto nasce da un idea che un artista coglie al volo e tutto il resto diventa elemento collaterale, senza voler negare la sua necessità d’essere energia costruttiva. Un chimico queste cose li sa bene, avendo sviscerato la materia nei suoi elementi basi e sa pure ch’esistono sostanze collaterali che si chiamano catalizzatori che pur non determinando il fenomeno lo favoriscono. Nel calderone di una strega che opera un incantesimo, anche un’ala di farfalla e il fegato di un rospo contribuiscono alla sua realizzazione e quindi perché far cadere il silenzio su un lavoro d’insieme che concorre a realizzare il miracolo? “Falcone e Borsellino: ovvero il Muro dei Martiri”, è per davvero un’opera magnifica, ma poi alla fine dello spettacolo, un discutibile presentatore, annichilisce l’esistenza del librettista (non un banale paroliere che mette in riga quattro parole che si adattano alla musica), ma il vero creatore di un’idea acchiappata dal mondo dell’idee, affinché possano essere enucleate le emozioni, organizzata la metrica del verso, nella sua precipua originalità che non può e non deve mai essere sottovalutata, nel ritmo (ora intenso, ora lento ora intenso) nella drammaturgia ben distribuita, nel loro naturale decorso logico che determina, insieme alla musica (e chi lo nega) la nascita di un capolavoro o meno d’applaudire. L’opera d’arte è un luogo di emozioni e senza la poesia l’emozione, la sentimentalità, non nasce: non può nascere. E questo alla nascita del melodramma nella “Camerata fiorentina dei Baldi” (14 gennaio 1573), quando fu fatto lo sposalizio tra poesia e musica, questo lo avevano capito e da quel giorno in giusto ordine si metteva prima il nome di chi aveva ideato il dramma (la favola, la storia, il verso) e poi il musicista che seguire un’idea preesistente e mai viceversa. Certo in un’opera lirica la musica è importante, ma la poesia è fondamentale. Questo è il senso di questo lavoro. Mettiamo pure in secondo piano il librettista (un signor drammaturgo, un organizzatore che riduce all’essenza una tragedia, una commedia, uno scherzo, affinché il musicista vi possa lavorare, ma non può essere escluso, emarginato, negato, cancellata con evidente disonestà intellettuale. E questo è avvenuto nella giornata del 15 settembre del 2022, in piazza Dante a Catania, ci si è dimenticati dell’autore, il librettista, il primo che ha avuto l’idea, lo si è negato come se lo sforzo intellettuale di un artista, di un poeta non avesse significato. Perché questo sfregio alla poesia? Eppure è avvenuto nel contesto di una bella opera. E peggio alla fine, il presentatore, ha parlato solo di se stesso del coro e del musicista, senza neanche spendere una sola parola per gli artisti in scena che hanno dato tutto di loro stessi, per gli attori e per tutti gli altri. A questo punto ditemi, non si può chiamare questo crollo di stile disonesta intellettuale? Io penso di si. P.s.: il poeta devo dire ch’è veramente un artista sensibili e i cantanti e attori sono stati magnifici.