Dopo il deposito delle motivazioni sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, l’intervento di Salvatore Borsellino: “Adesso verità storica e processuale coincidono”.
A seguito del deposito delle motivazioni da parte della sezione del Tribunale di Caltanissetta presieduta da Francesco D’Arrigo e relative alla sentenza emessa al processo di primo grado sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino e i poliziotti di scorta, interviene il fratello di Paolo, Salvatore Borsellino, da 30 anni sulle barricate in lotta per la verità. Lui è stato ed è strenuamente assertore della verità storica secondo cui anche mani non mafiose hanno maneggiato, nel senso figurato se non materiale, il tritolo esploso in via D’Amelio, e poi hanno depistato le indagini. Adesso, pubblicate le motivazioni, Salvatore Borsellino ne trae una verità processuale che coincide con la verità storica da lui professata.
E all’Adnkronos afferma: “Nella sentenza c’è scritto quello che sostengo da 30 anni: via D’Amelio non fu solo una strage di mafia ma di Stato, ci furono complicità, e la sottrazione dell’agenda rossa avvenne a opera di elementi delle Istituzioni. La mia amarezza è legata anche e soprattutto all’assenza di colpevoli. I giudici affermano che non fu solo mafia, ma nella loro sentenza non ci sono colpevoli, e dubito che mai ce ne potranno essere. Il problema è che a 30 anni di distanza siamo arrivati a causa di quei depistaggi, i cui autori sono assolti per prescrizione. E’ un cane che si morde la coda, una contraddizione. Avrebbe dovuto essere indagata tutta la catena di comando che ha condotto al depistaggio, e non solo gli ultimi anelli per i quali è intervenuta, comunque, la prescrizione”.
E poi il fondatore del movimento “Agende rosse” aggiunge: “Avere giustizia nel nostro Paese è una cosa impossibile se non difficile. Questa sentenza lo dimostra: nessun colpevole. Siamo davanti a una giustizia parziale. Sarà mai possibile fare piena luce su quell’eccidio? Dal punto di vista giudiziario non credo che si arriverà alla verità processuale, o perlomeno io non sarò vivo se mai dovesse accadere. La verità storica, invece, ormai è evidente, ma la giustizia è un’altra questione. Si parla di ‘elementi istituzionali’, però perché non si è indagato a fondo su questi elementi? Il depistaggio inizia con la sparizione dell’agenda rossa eppure su questo punto fondamentale non c’è mai stato un processo specifico. Perché sono indagati quelli che hanno convinto Scarantino a depistare, e non si indaga a fondo su chi ha potuto prelevare l’agenda rossa? Sul fatto che quando La Barbera riconsegna la borsa alla famiglia Borsellino, l’agenda rossa non c’è più. Sul fatto che il verbale del prelievo di quella borsa è stato fatto mesi dopo e non nell’immediatezza? La borsa era un reperto fondamentale per arrivare agli autori di quella strage. Si dice ‘è stato lo Stato’, ma lo Stato è fatto di uomini. Queste persone dove sono oggi? Sono ancora dentro le Istituzioni, magari in posti di comando? Ecco perché questa sentenza mi provoca più amarezza che soddisfazione”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)