Mario Mori, un quarto di secolo imputato per la “Trattativa”: “Con Falcone e Borsellino non sarebbe avvenuto. Sarebbe stata più opportuna una Commissione d’inchiesta”.
Il generale dei Carabinieri, Mario Mori, commenta a freddo la sentenza definitiva assolutoria emessa dalla Cassazione al processo “Trattativa”. Oltre lui sono stati assolti anche i colleghi ufficiali del Ros, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, oltre a Marcello Dell’Utri. E Mori, sulle colonne de “Il dubbio”, afferma: “Io resto fermo sui principi che mi hanno consentito di andare avanti, e nei quali ho sempre creduto. E’ molto semplice: l’Arma dei Carabinieri, la Giustizia, lo Stato, sono sovrastrutture. Poi c’è chi ne fa parte. E certo, possono capitare gli incidenti di percorso: il mio è stato effettivamente un po’ prolungato. Come ho resistito? Ho bisogno di un avversario. Nel senso che nella mia vita il confronto con una posizione anche radicalmente avversa alla mia, peraltro infamante, mi ha sempre dato forza. Ho sempre avuto una controparte in questi 25 anni da imputato. Non sono stati pochi. Ma mi verrebbe da dire che potrei ricominciare tutto daccapo. E’ la mia vita, è stata la mia vita. Sono sempre stato in tensione, forte dei miei convincimenti, della consapevolezza di essere nel giusto. Soprattutto di aver avuto comportamenti consoni al mio incarico, alle mie funzioni, e di non essere mai andato fuori dal perimetro. Avevo bisogno di un avversario, tanto che subito dopo la sentenza della Cassazione mi sono detto: e ora che faccio? Io ho presente la Costituzione: e secondo la Costituzione il magistrato deve applicare la legge, non estenderne il significato. In ogni caso, l’idea di dover fare luce su una fase della storia italiana avrebbe dovuto riguardare le competenze non della magistratura, ma di una commissione parlamentare d’inchiesta. Ecco, quella sarebbe stata una strada corretta per provare a comprendere il senso di quanto avvenuto nella storia del nostro Paese in quegli anni. Non capisco invece un’attività giudiziaria che si proponga un obiettivo del genere. Se ci fossero stati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non sarebbe avvenuto nulla di quanto è avvenuto. Sarebbe stata tutta un’altra storia. I giudici del processo ‘trattativa’ hanno dovuto fare i conti con una pressione ambientale notevole, si sono trovati davanti una Procura importantissima come quella di Palermo. Hanno esaminato le carte, ascoltato i testimoni e redatto in tutta onestà la loro sentenza. Dai giudici palermitani ho ottenuto tre assoluzioni. Sicuramente il filone ‘Mafia e appalti’ poteva essere valorizzato meglio. Adesso sono scomparsi quasi tutti coloro che avrebbero potuto essere un riferimento per esplorare quelle ipotesi. Io all’epoca dell’indagine ‘Mafia e appalti’, sulla quale lavorai, ero un giovincello, ora ho 83 anni. Vengono a mancare le testimonianze. La famiglia Borsellino svolge un’opera meritoria e nobilissima, ma le possibilità di arrivare a dei risultati si sono ridotte terribilmente. Anche su via D’Amelio mi auguro vi sia qualcuno in grado di trovare il bandolo, ma anche qui non vedo molte possibilità”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)