“Vedi che ti vengo a bruciare vivo…”

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Il Tribunale di Agrigento rinvia a giudizio Antonio e Gerlando Massimino, e altri tre imputati di droga, armi e di una presunta estorsione. I dettagli sulle contestazioni di reato.

Sono stati rinviati a giudizio dal giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Agrigento, Iacopo Mazzullo, e il prossimo 21 ottobre risponderanno all’appello dei giudici della sezione penale presieduta da Alfonso Malato. Ad occuparsi dell’istruttoria è stato il pubblico ministero Gloria Andreoli, a lavoro su un troncone dell’inchiesta antimafia “Kerkent”, l’Agrigento al tempo degli arabi, sfociata il 4 marzo del 2019 in 32 misure cautelari eseguite dai Carabinieri del Comando provinciale. Ai cinque prossimi al processo si contestano, a vario titolo, le ipotesi di reato di traffico e spaccio di hashish, marijuana e cocaina, armi, e una presunta estorsione.

Si tratta del boss Antonio Massimino, 55 anni, di Agrigento, condannato, in abbreviato, a 20 anni di reclusione il 13 febbraio del 2023 dalla Corte d’Appello di Palermo nell’ambito della stessa inchiesta “Kerkent”. Poi il nipote Gerlando Massimino, 35 anni, di Agrigento, condannato a 10 anni. Poi Gabriele Miccichè, 33 anni, di Agrigento, attualmente sotto processo ordinario innanzi al Tribunale di Agrigento. Poi Marco Caruana, 45 anni, e Giovanni Tedesco, 34 anni. Il 5 febbraio del 2019 i Carabinieri hanno arrestato Antonio e Gerlando Massimino. I militari sono irrotti nella villa di Antonio Massimino, nelle campagne del Villaggio Mosè, e, nel corso di una minuziosa perquisizione domiciliare, hanno scoperto e sequestrato una pistola semiautomatica calibro 7,65, con matricola abrasa, caricatore completo di 6 cartucce inserito e pronta all’uso.

E poi circa 200 cartucce di vario calibro, e 2 penne pistola calibro 6,35, dello stesso genere delle penne pistola di James Bond nei film sullo 007. E poi un rilevatore di frequenze. Il tutto è stato rinvenuto in un sacco nero, coperto da un cumulo di foglie secche, abbandonato nei pressi dell’abitazione. A fronte di ciò Antonio Massimino è stato condannato a 7 anni e 4 mesi di carcere. Il nipote Gerlando è stato assolto. Entrambe le sentenze sono definitive. Ebbene, dai servizi di osservazione, appostamento e intercettazioni video e audio, effettuati prima dei due arresti, è emerso anche un fiorente mercanteggio di sostanze stupefacenti, risalente al periodo tra dicembre del 2018 e febbraio del 2019, addebitato adesso a tutti e cinque gli indagati. Nel dettaglio: i cinque avrebbero gestito un magazzino trasformandolo in una centrale di smercio della cocaina, e dove la droga è stata tagliata e confezionata prima di essere spacciata. Al solo Gabriele Miccichè è contestato di avere ceduto a due persone 40 panetti di hashish, del peso di 4 chili e 200 grammi, oltre a 200 grammi di marijuana. Ai due Massimino e a Miccichè è contestato di avere organizzato il trasporto di 125 grammi di cocaina commissionandolo al pizzaiolo Marco Caruana. Antonio Massimino avrebbe ordinato a Caruana e Miccichè di spostare la droga dal magazzino alla sua villa, e Gerlando Massimino sarebbe stato da vedetta durante il trasporto.

Ancora Miccichè è indagato della detenzione e della ricettazione del mini arsenale, fra pistole clandestine e penne pistola. Infine, Antonio Massimino e Miccichè sono indagati di estorsione per avere costretto un debitore di Massimino a pagargli 400 euro sotto minaccia di morte. La presunta vittima avrebbe dovuto restituire 15.000 euro a Massimino, che a telefono lo avrebbe minacciato così: “Vedi che ti vengo a bruciare vivo. Se hai le palle scendi… ti sei fregato 940mila euro… ti metto il resto dei soldi in bocca e te li brucio”. Il messaggio sarebbe stato ribadito da Miccichè che lo avrebbe inoltre sollecitato a chiedere alla moglie l’anticipo del Tfr in modo da trovare i soldi. Gli indagati sono difesi dagli avvocati Salvatore Pennica e Annamaria Castelli.

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