Omicidio Pasquale Mangione: “Antonino Mangione attendibile”

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La Corte d’Assise di Agrigento ha depositato le motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo di uno dei presunti killer di Pasquale Mangione a Raffadali: “Antonino Mangione è credibile”.

Lo scorso 19 aprile la Corte d’Assise di Agrigento, presieduta da Wilma Angela Mazzara, ha condannato all’ergastolo Roberto Lampasona, 46 anni, di Santa Elisabetta, imputato dell’omicidio del pensionato di Raffadali, Pasquale Mangione, 69 anni, ex dipendente del Comune di Raffadali, ucciso a colpi di pistola in contrada “Modaccamo”, nelle campagne fra Raffadali e Cianciana, il 2 dicembre del 2011. Nell’ambito del giudizio abbreviato, in secondo grado, il 16 luglio del 2023 la Corte d’Appello ha condannato altri due imputati, Antonino Mangione, 42 anni, e Angelo D’Antona, 38 anni, entrambi di Raffadali. A D’Antona sono stati inflitti 16 anni di reclusione, escludendo l’aggravante della premeditazione. E poi la Cassazione il 3 maggio scorso ha annullato la sentenza di condanna con rinvio, riconoscendo l’aggravante. E a Mangione, che si è auto – accusato del delitto coinvolgendo D’Antona e Roberto Lampasona, entrambi indicati da Mangione come esecutori materiali, sono stati inflitti 10 anni, ritenendo prevalente la collaborazione sulle attenuanti generiche. Ebbene adesso l’attendibilità e la credibilità di Antonino Mangione emergono dalle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo di Lampasona appena depositate.

E tra l’altro i giudici scrivono: “Quando Antonio Mangione ha reso le prime dichiarazioni, si trovava in stato di libertà, pur con un significativo trascorso criminale alle spalle. L’autorità giudiziaria non era in possesso di alcun indizio, e lui appariva del tutto estraneo al delitto. Mangione non si è limitato ad accusare altri soggetti, ma si è attribuito il ruolo di promotore, pianificatore e organizzatore dell’omicidio, In sostanza, si è dipinto come il principale artefice del delitto. Le sue dichiarazioni, seppur sintetiche, sono state costantemente ribadite nel tempo, con ricchezza di dettagli originali, oggettivi e per lo più riscontrabili, quali il movente, il giorno della settimana in cui era stato commesso l’omicidio, le modalità preparatorie ed esecutive dell’uccisione (calibro dell’arma e inceppamento della stessa nonché la circostanza che la vittima sarebbe stata ferita, prima in modo non letale, con colpi di arma da fuoco e poi finita con dei colpi in testa), le condizioni atmosferiche, il fatto che uno degli esecutori materiali, D’Antona, sia rimasto ferito. Tali circostanze estremamente dettagliate e particolareggiate, oltre ad essere state sempre linearmente riferite, appaiono conoscibili solo da parte di chi fosse stato coinvolto direttamente nell’omicidio ed appaiono, almeno alcune delle quali, riscontrate puntualmente dai rilievi di polizia giudiziaria e accertamenti medico-legali.

Infine, il racconto di Mangione, nella parte relativa alla reale compartecipazione di Lampasona e D’Antona, ha trovato eccezionale conferma nel contenuto inequivoco di alcune conversazioni intercettate tra i due, dalle quali traspare, da un lato, la loro piena conoscenza dei dettagli della vicenda e del ruolo di Mangione, e dall’altro, tutto il loro sconforto e il timore derivante dalla possibilità che gli accertamenti tecnici e l’attività di indagine intrapresa potessero portare alla loro imputazione, coltivando la speranza che gli anni trascorsi ed il cattivo tempo all’epoca del rinvenimento del cadavere di Mangione avessero disperso le tracce biologiche di D’Antona rimasto ferito”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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