C’è stato un tempo in cui la cultura era a disposizione di tutti ma il dono dell’arte era di pochi. Gli scrittori, i musicisti, i registi, gli artisti ci mettevano il tempo detto “dell’ispirazione” per mettere al mondo delle nuove opere; opere pensate, elaborate, “corrette e revisionate” e poi portare al cospetto della collettività, di tutti coloro che avessero una predisposizione per una forma artistica o la curiosità per avvicinarsi ad un’altra, nella consapevolezza di potersi erudire, arricchire, lasciandosi a sua volta ispirare. Perché questo l’arte fa: ispira emozioni forti, riflessioni, allena il giudizio critico, sprona un qualsivoglia miglioramento personale che poi diventa collettivo, sociale.
Ma se facciamo un attimo attenzione a quello che stiamo vivendo, ci ritroviamo catapultati in una realtà che invece per assurdo è tanto più satura quanto più indifferente.
Le librerie propongono ogni mese libri nuovi con fascette gialle su cui sono scritte (sarà poi vero?) il numero dei “già lettori”, le piattaforme streaming lanciano serie tv nuove di zecca e super Top 10 quasi ogni settimana, per non parlare di Spotify, quel calderone nel quale trovi tutto ma non sai più neanche cosa vuoi ascoltare.
Perché l’appassionato di Jazz difficilmente vi entrerà e chi vi è dentro invece è confuso, perché quel che vi trova è una continua “novità” che però è un “copia e incolla” del mese prima, dei sei mesi prima, dell’anno prima; stesse sonorità, stesso autotune, stesso modo di esprimere a parole sbocconcellate e buttate lì, senza troppa attenzione a metrica, armonia, prosodia.
Difficile trovare anche un proprio preferito.
Tutti in qualche modo sgomitano per trovare il proprio “posto in classifica” ma nessuno che si domanda se l’utenza sia pronta a questo caos pseudoculturale, a questi continui ed impazziti stimoli. Perché questo meccanismo che cerca di catturare la nostra attenzione (gia’ purtroppo patologicamente intermittente e compromessa) se ne infischia del fatto se noi si sia o meno pronti ad accogliere tutti questi stimoli culturali che ci piovono addosso e che invece di incuriosirci, destabilizzano.
Non si ha più il tempo per riflettere, per scegliere. E non si può considerare vecchio un libro di due mesi fa, come se avesse una scadenza impressa di sopra. L’arte vera non ha tempo e non ha scadenza. Ha un periodo storico in cui è stata creata e partorita e di quel tempo ne porta i sensi. Questa accade con i classici, con la produzione cantautorale, con i film di categoria. Dove sono finite le produzioni teatrali che si sceglievano da un anno all’altro?
Ed invece no, gli artisti (o anche non proprio tali) non hanno più tempo a disposizione, le produzioni incalzano, devono sfornare qualcosa. Niente più tempo per maturare idee, mettere a punto, riflettere. Dov’è finito quel tempo unico ed impalpabile che serve alla creazione di un’opera? I libri sono tanti, i dischi, i film altrettanto. Cala la qualità e noi non sappiamo più scegliere, non sappiamo dove andare e percepiamo sempre meno quello che ci piace, perché paralizzati da un’abbondanza di “contenuti a scadenza”. E ci fanno anche credere che se non guardiamo quella serie, o se non ci prenotiamo per l’uscita di quel disco, o se non assistiamo ad un’anteprima allora siamo fuori da chissà che cosa. E così non facciamo altro che “aggiungere alla lista” collezionando titoli che non leggeremo mai, che non avremo il tempo di vedere, o che non abbiamo nessuna voglia di scoltare. E magari sarà meglio così. Perché scegliere in base ai propri gusti necessità di tempo per capire e addentrarsi in un determinato mondo culturale. Ma anche il lasciarsi incuriosire da qualcosa che non si conosce, richiede un tempo di mezzo nel quale scoprire che ci possa essere qualcos’altro che ci piaccia davvero.
Ed invece questo continuo “sfornare” produce nell’ipotetico fruitore una sorta di senso di colpa per non aver avuto voglia e tempo di star dietro a tutto quel materiale accumulato che non abbiamo consumato.
Un senso di colpa nei confronti di quegli autori spesso sconosciuti che ammiccano dalle più svariate forme di fruizione.
Il danno è per l’arte, meno per i produttori che da tutto questo meccanismo guadagnano somme inestimabili.
Gli artisti costretti a sfornare sempre cose nuove non hanno più quel “tempo giusto” per creare, lo fanno anche se non sono pronti, se non lo sono ancora. E noi ingurgitiamo cose che spesso non ci piacciono pur di dire che “sì, l’abbiamo fatto”, ma alla fine non abbiamo assaporato nulla per davvero. E forse nulla ci resta di quel qualcosa preso a morsi, digerito e buttato via, che a volte ci fa male perché ne facciamo sgradevole indigestione.
A farne le spese è la cultura, vittima predestinata di quella logica dell’usa e getta, di un approccio compulsivo e superficiale con un prodotto spesso scadente, perché un mercato impazzito ed insaziabile impone che si generino costantemente novità.
Un circolo vizioso e pericolosissimo per la cultura delle generazioni future, che non hanno mai tempo né voglia di approfondire o forse non hanno neanche i mezzi per decodificare e identificare l’arte nel marasma di contenuti a disposizione.
C’è una deriva che ci sta trascinando chissà dove e mentre scivoliamo tocca scansare i detriti che ci travolgono, che si sedimentano; riuscire a risalire la corrente, scavare tra i tanti strati di contenuto alla ricerca di qualcosa che forse già non esiste più. Ecco perché riscoprire punti di riferimento per tornare al senso di arte e cultura diventa una priorità, oggi più che mai.
Oggi, mentre i talent sfornano “cantanti” che sono già famosi sui social network, che vengono affidati a “insegnanti” improbabili che non hanno i titoli e le capacità per insegnare quella tecnica, indispensabile per mettere in circolo l’arte.
Così come accade nella scrittura, mentre “scrittori emergenti” sgomitano per dire la propria anche se non c’è spessore e neanche profondità in quel che mettono nero su bianco, basta però che si venda. E chi se ne frega se l’utente usa quel libro per tenere aperta una porta o lo abbandona ad impolverarsi su un comodino.
Era in “superofferta”, ma forse vale altrettanto.
Sopravvivere a questa rovina tra le rovine della cultura è la nuova missione. Non lasciarsi travolgere deve essere il nuovo obiettivo, lasciare che passi la piena del “niente vestito
a festa”, restare ancorati alla conoscenza e alle passioni e perché no alla sana curiosità; altrimenti finiremo per continuare a cercare ciò che non c’è nel troppo che avanza dimenticandoci quel che vale davvero e che merita la nostra reale e
profonda attenzione.
Finalmente leggo un articolo speciale. ma bisogna insistere per evitare questo caos di pseudocultura o meglio di incultura sperando che di faccia un giro a 180 gradi per tornare alla cultura vera. Io da parte mia non vedo niente più in televisione anche perchè ricordo quando la RAI trasmetteva i classici della letteratura, musica classica, lirica quella Vera.
E’ un augurio, ma ci credo poco con questa fretta di vivere.