Mafia, il “veterinario” ancora al 41 bis

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La Cassazione rigetta il ricorso del boss Domenico Raccuglia, già numero due di Cosa Nostra: “Nessuna revisione critica dei suoi trascorsi, né dissociazione”.

La Cassazione ha rigettato come non ammissibile il ricorso del boss di Altofonte, Mimmo Raccuglia. Come i giudici del Tribunale di Sorveglianza che si sono già espressi, adesso anche la Suprema Corte ha confermato il 41 bis a carico dell’ex numero due di Cosa Nostra. Lui, 60 anni, è detenuto nel carcere di Spoleto, in provincia di Perugia, in Umbria. Da parte di Raccuglia non sarebbe in atto alcuna revisione critica dei suoi trascorsi mafiosi, né un’assunzione di responsabilità per i delitti che ha commesso. La famiglia mafiosa da lui capeggiata sarebbe ancora attiva, come testimoniato dall’arresto nel 2017 e poi dalla condanna del fratello Salvatore. E i collegamenti tra il detenuto al 41 bis e la sua cosca non si sarebbero interrotti. Ecco perché il ricorso contro il carcere duro è stato respinto. Peraltro nella corrispondenza con la moglie, tra il 2019 e il 2021 sono state trovate delle frasi che secondo i magistrati sono “criptiche”, ovvero tendenziose, allusive, orientanti. Secondo la Cassazione non importa più di tanto che la condotta in carcere di Domenico Raccuglia sia stata impeccabile, come già rilevato dal Tribunale di Sorveglianza nel febbraio del 2023. Ciò che conta è invece la sua non veritiera e sostanziale dissociazione. Decisiva a tal proposito è stata una relazione del carcere di Spoleto risalente al maggio scorso da cui emerge “l’omessa assunzione di responsabilità e la mancanza di una revisione critica del passato” da parte di Mimmo Raccuglia, inteso “Il veterinario” per la sua passione per gli animali, numero 2 dopo Matteo Messina Denaro all’epoca del suo arresto, il 15 novembre del 2009. Dopo 13 anni di latitanza Raccuglia è stato scovato a Calatafimi, in provincia di Trapani, dalla Squadra mobile palermitana, in un appartamento in via Cabasino. Quando il boss ha acceso il televisore, i poliziotti hanno capito che era in casa, e si è scatenato il blitz. Raccuglia ha tentato la fuga da un terrazzo, lanciando giù anche un sacchetto con dentro due pistole ed alcuni pizzini. Inutile. Le manette, il carcere, e tre ergastoli da scontare, uno per l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, il ragazzino figlio del pentito Santino Di Matteo, compaesano di Raccuglia. Una carriera fulminante, favorita anche dagli eventi. Infatti, lui, Raccuglia, già delfino di Giovanni Brusca, è stato capo del mandamento di San Giuseppe Jato a 20 anni, nel 1996, poco dopo l’arresto di Brusca. Si sposa, ha una figlia, poi, durante la latitanza, nonostante la moglie, Giuseppa Castellese, sia controllata, è padre per la seconda volta, di un bambino. Negli archivi sulla criminalità organizzata siciliana di stampo mafioso lo si ricorda per la personalità carismatica, il temperamento violento e il carattere riservato.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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