A “Strappare lungo i bordi” va un 8 meno meno, perché qualche parolaccia Zerocalcare, poteva evitarla

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Sì troppe parolacce e per giunta sempre le stesse, che – a lungo andare – stancano.

Però detto questo, che mi sembra d’obbligo proprio in prima battuta, “Strappare lungo i bordi” la serie animata di Zerocalcare visibile su Netflix, è stata una piacevolissima rivelazione.

Tante aspettative, buono il risultato.

Zerocalcare, pseudonimo di Michele Rech, è un fumettista famoso, che negli anni ci ha abituato ad entrare nelle sue storie, “vignettate”, raccontate senza pretese, quasi sempre autobiografiche, capaci di far riflettere, e che con “Strappare lungo i bordi” è passato all’animazione, alla serie animata, e l’ha fatto sperando di non deludere il suo pubblico, e tenendo dentro tutto il suo mondo narrativo.

Il passaggio semiotico dal fumetto all’animazione, è stato impegnativo, proprio perché è un altro linguaggio con sue proprie regole, ma è venuta fuori tutta la maestria di Zerocalcare che è passato dal lavorare in solitaria, alla collaborazione con 200 persone che con lui hanno permesso la realizzazione di questo piccolo capolavoro per il quale Michele Rech ha fatto proprio tutto. Scrittura, regia ed anche doppiaggio. Tutti i personaggi li ha doppiati lui, ad eccezione di quella della sua coscienza che ha forma di armadillo e che porta la voce riconoscibilissima del bravissimo Valerio Mastandrea. E solo Rech poteva fare tutte le voci, perché tutti i personaggi sono lui, sono l’animazione del suo modo di essere e di concepire l’esistenza, a volte sgangherata e tremendamente incerta.

6 piccole puntate da 20 minuti circa, niente di troppo impegnativo nell’epoca delle lunghissime serie tv.
Una storia compatta, che si evolve puntata dopo puntata e che si dipana attorno ai personaggi, che li ingloba, li racconta e li interseca ma mantenendo sempre una struttura che si evolve e si conclude all’interno di una puntata, trasportando però la storia sempre un passo più in là.

Il rimo della serie tv è abbastanza serrato, è dinamico e si serve di quelle parti della narrazione che sono tipiche della scrittura.
Un viaggio, che non sarà ovviamente solo fisico, ma anche all’interno di stati d’animo e di riflessioni sul vivere, e poi i flashback, che servono all’autore per sottolineare caratteri e caratteristiche dei personaggi, alimentare suggestioni e per sfumare tutto su atmosfere e particolari, così come si fa con una matita dalla punta leggera.

Intorno ai fumetti di Zerocalcare c’è stata tutta una regia tecnica, che doveva evidenziare le inquadrature, conferendo un taglio adeguato che passa dal comico al drammatico, e in questo ritengo che l’intento sia perfettamente riuscito. I personaggi raccontati si confessano spesso, davanti alla telecamera e si dotano di una tridimensionalità di intenti. La dinamicità dei personaggi e delle loro coscienze.

Il linguaggio usato è sicuramente irriverente, schietto, semplice e dunque accessibile a tutti, ma non è mai banale.
Diversi passaggi e  il modo in cui ha raccontato la storia,  l’ho trovato assolutamente efficace. 

E’ la storia di Zerocalcare, del suo mondo, dei suoi amici che fanno un viaggio (un classico della narrazione) e che si raccontano, tra voci della coscienza e autoironia. Tra passato da bambini e il presente “imperfetto”. Una riflessione collettiva su come si debba pensare al proprio percorso non sempre come ad una linea tratteggiata che ci indichi “dove strappare” per far venire fuori l’immagine precisa e completa, ma come a volte serva strappare oltre, anche male, se questo possa servire a trovare il proprio posto nel mondo, che è fatto di scelte, di volontà e di tenacia, oltre che di carattere.

E il carattere del singolo spesso si scontra, altre si incastra a quello di coloro che scegliamo come amici, e come compagni di viaggio, anche quando la meta non è quella convenuta o sperata.

Una serie un po’ punk un po’ centri sociali, un po’ “regole di vita” un po’ “a cazzi”.
Tutto condito dal romanesco, sfacciato e bellissimo, con quelle frasi che sottolineano alcuni momenti dell’esistenza, che ti fa capire come tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo trovati a fare scelte e a sentirci inadeguati e a provare un senso di colpa.

Amori adolescenziali, inadeguatezza, incomprensioni, scelte su cosa fare da grandi, imprevedibilità e “spade di damoche” che a volte non cascano lì dove dovrebbero.

Si ride, ma si piange anche un po’.
Piacerebbe a Nanni Moretti quanto a Woody Allen, quella comicità che finisce dentro un groppone in gola.
Perché per riflettere non serve sempre la solennità, davanti alla macchina da presa.

Molto bene, a mio avviso questa prima esperienza animata di Zerocalcare e qualcosa mi dice che sicuramente continuerà a ragionare in questa direzione.

Ora sa come si fa.

“La prossima volta meno parolacce, ‘tacci tua Michè”

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