Carismatico, intenso, un autentico fuoriclasse.
Questo è Archie Shepp, 82 anni suonati e ancora tanto da dare alla musica e al jazz.
Arriva sul palco dell’Auditorium Parco della Musica in Roma poco dopo le 21 a piccoli passi; i suoi anni si fanno sentire nella deambulazione, non certo in quello che è da sempre il suo famoso “soffio”. Il fiammante sassofono – poi si scoprono essere due – lo attende sul palco. E parte un applauso di oltre 5 minuti per accogliere il grande artista.
Indossa un elegante abito grigio e un cappello. Saluta, poi presenta i musicisti prima ancora di dar via alla performance (cosa rara) e poi incomincia ad incantare.
Con lui sul palco musicisti stratosferici, Carl Henri Morisset al piano, Matyas Szandai al contrabbasso e poi colui che suona con Shepp da più di vent’anni, Steve McCraven alla batteria, che durante il concerto delizierà il pubblico con un “clap handing and voice”.
Ottimo interplay tra Shepp e il suo quartetto, così come ben calibrati sono i dialoghi tra piano e il sassofono magico del leader. Su e giù per la tastiera Morisset che non si risparmia durante gli assoli e intreccia velocità nelle terzine e nelle scale.
Matyas Szandai suona spesso in loop accompagnando i virtuosismi del sassofonista ma quando gli viene concesso lo spazio per l’assolo le evoluzioni sono ampie e raffinate.
Se ti concentri solo su quello che sta accadendo sul palco di sembra di essere in un jazz club di New York e ti arriva in maniera travolgente tutto il bebop degli anni in cui Archie Shepp incarnava con la sua musica il cambiamento, l’avanguardia e l’impegno politico. Il suo è anche un linguaggio semantico e concettuale.
Durante il concentro i cambi di tempo all’interno dei pezzi sono sofisticati.
Suona un omaggio a Coltrane, “Four for Trane” con un suono corposo, vigoroso, pieno.
Canta, anche per il pubblico dell’Auditorium, il sassofonista virtuoso … canta il blues. Suona anche il sax soprano, Shepp, oltre al tenore, modula, soffia e lascia andare quel fiato che a volte resta soffio e altre porta a compimento tutte le intuizioni armoniche e stilistiche del suo elettrizzante modo di suonare il sax tenore.
Durante il concerto si viene investiti da quel suo modo di fare il jazz per nulla filosofico ma estremante concreto; quel suo “qui e ora”, tra arcate armoniche mai ammiccanti e una strepitosa versatilità.
E’ un concerto fruibile, a tutto groove, un groove possente e scintillante.
Un concerto in cui convivono il soul, la bossa e il blues in maniera accattivante e nel quale le tonalità e i colori della musica di Archie Shepp, sono il segno distintivo del suo ruolo imponente nel mondo del jazz.
Dalle bacchette alle spazzole, e tutta leggiadria di Steve McCraven che usa il rullante e il bordo di esso con un tempo ed una precisione impeccabile sia nel bebop che nel blues.
È emozionante sentire Archie Shepp cantare, cantare in maniera profonda, ogni parola; un cantato rauco, graffiato, convinto ma mai sporco.
Ecco, la voce di Shepp ha una potenza e personalità, che anche due singole note qualsiasi portano l’inconfondibile marchio del suo stile. La sua tagliente eloquenza e la sua impetuosa lucidità, non lascia scampo all’ascoltatore.
Un solo pezzo nel bis per dire che c’è ancora un po’ di tempo per una serata di pura magia.
Applausi a scena aperta, lui che si inchina e poi a piccoli passi va via, lasciando la sensazione di aver assistito ad un concerto indimenticabile, in cui si è ascoltato “la leggenda”.
Simona Stammelluti