Ci metti un po’ a scrivere qualcosa su “Baby Reindeer“, perché ti sconvolge e affascina al contempo. Solo che non sai se ne sei più sconvolto o più affascinato. Non nascondo che alcuni tratti caratteriali di Martha (Jessica Gunning) la serial stalker mi hanno affascinato, perché si capisce mentre le puntate si aprono sulla vita dei personaggi, che c’è qualcosa che devi sapere. E allora aspetti. E mentre aspetti empatizzi con il personaggio che è vittima di un ordito metodo di distruzione. Essere perseguitati, controllati, sopraffatti dal volere altrui contro la propria volontà è un incubo che si perpetra. Eppure ti domandi come mai Donny Dunn, non denunci subito quello che gli accade. Te lo domandi, ma hai anche le risposte. Ci si può odiare così tanto da trovare una qualche forma di amore nel male che gli altri ci fanno, pur di essere amati.
Sembra assurdo, ma la storia vera scritta, diretta, raccontata e interpretata da Richard Gadd è tanto toccante quanto devastante.
Martha, obesa e dimenticata dal mondo, cerca solo di essere notata, malgrado la sua mole così ingombrante. Entra in un pub, e una gentilezza mostrata dal barista che le offre un tè scatena una ossessione che durerà per anni e che per assurdo rappresenterà il mezzo attraverso il quale la vittima farà i conti con il suo passato di soggetto abusato sessualmente, di aspirante comico disposto a tutto pur di essere notato, e con un desiderio che il mondo sappia; e così usa un monologo declamato in un concorso per aprire la porta ad un flusso di coscienza che sconvolgerà tutti, spettatore compreso.
SI teme il giudizio per tutta la vita, e nella bassa autostima si crea quella frattura, quello spazio nel quale entra spesso il male.
Donny ci mette tantissimo a capire cosa sia giusto fare ma in alcuni momenti non solo prova empatia con la stalker ma non riesce a farne a meno, come se solo in quel legame malato possa permettersi di essere sé stesso con tutti i suoi limiti e le sue paure.
Il doversi riconoscere bisessuale, imparare ad amare qualcuno che finalmente fa per te, ma che non merita alla fine di sapere tutto di te, è come scivolare in un pozzo buio, dal quale risalire diventa una impresa titanica.
I primi piani, il suono delle risate, i colori cupi, il rumore dei tasti della tastiera dalla quale escono i mille mila messaggi inviati, gli ambienti bui, i colori caldi, le immagini sfocate, sono un contorno perfetto a quei dettagli psicologici raffinatissimi che attraversano un trauma per giungere alla salvezza. Ma sarà davvero così?
Il finale è aperto.
La vittima – dopo la denuncia e la condanna di Martha, dopo aver scoperto dettagli inquietanti della sua vita, dopo aver capito finalmente perché lo chiamava “piccola renna” – si è davvero salvata o prende su di sé il meccanismo del suo carnefice perché incapace di uscire dalla trappola della disperazione?
Richard Gadd racconta la sua personalissima storia, fatta di violenza, di persecuzione infinita, di inquietanti messaggi mail e vocali che ascolta provando empatia ed insieme paura.
L’autore e protagonista della storia riesce ad analizzare la tragedia umana nella sua complessità, e lo fa in maniera accurata, nei minimi particolari.
È una serie trasbordante di vita vera e commozione. Una vita vera che ti trascina in ognuno dei dettagli in cui il protagonista cerca, indaga, studia la sua stalker; pensa di poterla contenere, ma poi capisce che non ce la farà. E nel mezzo c’è tutto un monologo interiore che diventa quello di tutti noi, che magari non siamo stati mai stalkerati ma abbiamo avuto qualche volta paura di non piacere, di non essere accettati, di rimanere da soli e per questo ci siamo accontentati anche di situazioni mediocri e svilenti.