Benedetto, il Papa della svolta tra ragione e fede

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di Fabio Marchese Ragona

Un Papa che ha cambiato la storia della Chiesa, rivoluzionario e riservato, un Pontefice diventato emerito, aprendo così una porta ai suoi successori. Tanti ricordano Benedetto XVI soltanto per il suo clamoroso gesto della rinuncia, dimenticando forse il percorso tracciato da Ratzinger in quasi otto anni di pontificato, partendo dalla ferma battaglia al relativismo etico, fino alla durissima lotta alla pedofilia nella Chiesa, riducendo allo stato laicale, in soli due anni (2011 e 2012), 400 preti colpevoli di abusi su minori. L’ex custode della fede, diventato vicario di Cristo, aveva incoraggiato, passo dopo passo, una Chiesa affranta dalla morte di Giovanni Paolo II, l’aveva traghettata, con non poche difficoltà, in un momento storico in cui il mondo occidentale veniva denudato dai valori fondamentali. “L’Europa, contrariamente all’America – scriveva l\’allora cardinale Ratzinger nel 2004 in un dialogo con Marcello Pera – è in rotta di collisione con la propria storia e si fa spesso portavoce di una negazione, quasi viscerale, di qualsiasi possibile dimensione pubblica dei valori cristiani”. Un tema che il Papa svilupperà nel corso di tutto il suo pontificato e che sarà l’oggetto principale del monumentale discorso tenuto al Collège des Bernardins a Parigi nel 2008: “Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica, la domanda circa Dio sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”. Anche in quell’occasione, Benedetto aveva brandito la croce astile in difesa di quei valori “non negoziabili” in crisi, come aveva fatto Wojtyla consigliandosi con lui quando era prefetto dell’allora Congregazione per la dottrina della fede. Ci sono radici ben più profonde, ma spesso sottovalutate, che hanno contraddistinto il pontificato di Ratzinger: oltre alla già citata lotta al relativismo etico e alla battaglia contro la pedofilia, Benedetto XVI è stato il Papa che ha indicato un’affermazione del ruolo della Chiesa nella correlazione tra ragione e fede, “inseparabili e purificatrici l’una dell’altra”. Argomento, questo, alla base della penultima enciclica di Giovanni Paolo II “Fides et Ratio” (di cui il futuro Papa tedesco ne conobbe la genesi), che è stato anche oggetto di un intenso dialogo dell’allora cardinale Ratzinger con il filosofo Jürgen Habermas. O ancora, Benedetto XVI è il Papa che ha tentato la riconciliazione con i lefebvriani, che ha inaugurato il dialogo tra Chiesa e mondo ateo, che ha aperto la strada al dialogo ecumenico con la Chiesa ortodossa russa, che ha compiuto viaggi chiave in Europa e Medio Oriente per dialogare con l’Islam. E allo stesso tempo, su un piano più pratico, che ha permesso la beatificazione (e di conseguenza la canonizzazione) a tempo di record di Giovanni Paolo II, o, ancora più semplicemente, che amava il dialogo non preparato con i fedeli (preferiva ascoltare domande in pubblico e rispondere improvvisando) e che ha anche aperto a sorpresa un account su Twitter, poi ceduto a Papa Francesco, diventato sul social network l’uomo più influente del pianeta. Nonostante ciò, per Ratzinger le critiche non sono mancate: a Benedetto XVI si è rimproverato da più parti di esser stato un Pontefice troppo distante dalla gente, un “Papa troppo restauratore” (in contrapposizione a Francesco definito invece un “rottamatore”), “colpevole” agli occhi di molti esponenti interni ed esterni alla Curia Romana di aver firmato il decreto che liberalizza l’uso del messale preconciliare per la celebrazione della Messa in latino, di aver ripristinato l’utilizzo di determinati paramenti sacri o abiti e accessori per le uscite pubbliche del Papa ormai caduti da tempo in disuso, di aver, insomma, lasciato troppo spazio dentro la Chiesa ai tradizionalisti. E tra gli oppositori, chi conosceva il cardinale Ratzinger prima del conclave, nel giorno della sua elezione a vescovo di Roma aveva subito criticato il nuovo Pontefice, immaginando che il Papa appena eletto avrebbe agito in questo modo, cullandosi però del fatto che quello di Ratzinger “sarebbe stato un pontificato breve, di transizione”. Ma così non è stato ed è anche per questo che son partiti, dopo poco tempo dalla fumata bianca e a intermittenza calcolata, attacchi feroci contro il Papa e i suoi più stretti collaboratori (colpiti anche loro per mettere il Pontefice in difficoltà); veleni e strategie distruttive studiate nei minimi dettagli per ferire il pontificato di Benedetto XVI: dal “caso Ratisbona”, alla polemica sull’uso del preservativo, dalle accuse americane di aver insabbiato casi di pedofilia, al “caso Williamson” (il vescovo lefebvriano negazionista della Shoah a cui il Papa tolse la scomunica del 1988 per essere stato ordinato illegittimamente), fino ad arrivare al furto dei suoi documenti riservati, reato che ha trascinato tutta la Chiesa nel torbido Vatileaks. Una stagione nera, un inverno buio che però Ratzinger, ormai anziano e debole, è riuscito a trasformare in una primavera.
Fonte: Il Giornale

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