Borsellino: “Hanno messo l’osso davanti ai cani”

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Dal 23 maggio al 19 luglio 1992, Paolo Borsellino dopo Giovanni Falcone, particolari più o meno inediti su quanto accaduto nei 57 giorni.

A Palermo, in via Zandonai 11, vi è una parruccheria per uomo: “Paolo, coiffeur per uomo”, gestita dal barbiere Paolo Biondo. Tra i suoi clienti vi è Paolo Borsellino. Sabato 23 maggio Borsellino è dal barbiere, attende il suo turno, poi si siede. Il taglio è quasi concluso. Gli squilla il telefonino. E il barbiere ricorda: “Dopo la telefonata si è alzato dalla poltrona ed è sbiancato in viso. Mi sono preoccupato, ho chiesto cosa fosse successo e lui mi fa: ‘levami la tovaglia e fammi scappare’. Ho fatto come diceva e gliel’ho ripetuto: dottore, ma che cosa è successo? Lui mi rispose: hanno fatto un attentato a Giovanni”. E poi Salvatore Borsellino ricorda: “Mio fratello era cambiato, invecchiato, non sorrideva più, continuava a dire ossessivamente: ‘devo fare in fretta’. Se Falcone aveva sempre lavorato mettendo in conto la possibilità che lo avrebbero ammazzato, dopo la strage di Capaci per mio fratello quella è una certezza”. E poi, l’ex collega Giuseppe Ayala, che nel frattempo all’epoca è stato eletto in Parlamento coi Repubblicani, ricorda: “Gli ho detto: ‘senti Paolo, tu lavori dalla mattina alla sera, lavori come un pazzo, datti una calmata, è un momento particolare per tutti noi’. E lui mi rispose: ‘hai ragione, però io non posso rallentare, perché mi resta poco tempo”. E poi il collega Roberto Scarpinato ricorda: “A me e ad altri giovani sostituti Borsellino disse che eravamo giovani e che avevamo diritto a vivere a lungo e che quindi, se volevamo fare un passo indietro in quel momento, lui ci avrebbe capito. Ma la sua sorte era segnata”. E poi, cinque giorni dopo la strage di Capaci, l’allora ministro dell’Interno, Vincenzo Scotti, candida Borsellino a procuratore nazionale antimafia senza però avvertirlo prima. E lui, il giudice, commenta: “Hanno messo l’osso davanti ai cani”. E poi, nei 57 giorni, Paolo Borsellino interroga Gaspare Mutolo, l’ex autista di Totò Riina, che, tra l’altro, accusa Bruno Contrada di contiguità con Cosa Nostra. Il primo luglio Borsellino riceve una telefonata durante un interrogatorio con Mutolo, che interrompe perché è convocato a Roma. Si insedia il nuovo ministro dell’Interno, Nicola Mancino. Al ministero vi è anche il capo della Polizia, Vincenzo Parisi, e, secondo Mutolo, vi è anche Contrada. E Gaspare Mutolo ricorda: “Quando Borsellino torna da Roma mi racconta che, dopo aver parlato col ministro Mancino, incontra Contrada, che gli fa: ‘ma stai interrogando a Mutolo? Digli che io sono a disposizione se occorre qualche cosa”. L’interrogatorio avrebbe dovuto essere segreto. Invece al ministero Contrada dimostra di essere a conoscenza di tutto. Nicola Mancino sostiene di non ricordare di avere incontrato Borsellino. Contrada ha sempre negato: “Non sono stato al ministero quel giorno”. E poi Paolo Borsellino così si rivolse alla moglie, e poi a due giovani colleghi, Alessandra Camassa e Massimo Russo: “Un amico mi ha tradito. Non posso credere, non posso credere che un amico mi abbia potuto tradire”. Il procuratore di Palermo, Pietro Giammanco, si scontrò con Borsellino negando, dopo la morte di Falcone, di assegnargli le deleghe per indagare sulla mafia a Palermo. Poi, invece, alle ore 7 di domenica 19 luglio, il giorno della strage, Giammanco telefona a Borsellino per comunicargli che vuole assegnargli le deleghe. Gli interrogativi sollevati: perché tanta fretta? Perché Giammanco non può aspettare lunedì? Perché nessuno lo ha mai chiesto a Giammanco? E poi, Claudio Fava ricorda: “Perché la Procura di Caltanissetta decide di affidare le indagini ai servizi segreti, violando la legge? La stessa sera della strage del 19 luglio la Procura chiama Roma, chiede di poter avere la presenza di Bruno Contrada che è il numero tre dei servizi segreti, per potere di fatto affidargli il governo delle indagini. Contrada è proprio l’uomo di cui aveva parlato Mutolo e che all’epoca era già sotto inchiesta a Palermo per concorso esterno alla mafia. Siamo di fronte a questa situazione assolutamente paradossale: la Procura di Caltanissetta affida a Contrada l’indagine più importante della storia della Repubblica italiana nello stesso tempo in cui la Procura di Palermo indaga Contrada considerandolo un amico dei mafiosi. Poi ecco Scarantino e il depistaggio, che serviva a portare verso una soluzione di comodo che dicesse: Borsellino è stato ucciso dalla mafia, per vendetta. E quindi c’è la mafia, ma c’è solo la mafia. E in effetti quando Arnaldo La Barbera decide di puntare sulla pista Scarantino, tutti gli altri filoni d’indagine sono bruciati”.

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