“Borsellino”, i riferimenti a Giammanco

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La strage Borsellino: dall’inchiesta sfociata nell’invito a comparire all’ex magistrato Gioacchino Natoli, emergono molti riferimenti all’ex procuratore di Palermo, Pietro Giammanco. I dettagli.

Nel 2011 il tenente Carmelo Canale, già stretto collaboratore di Paolo Borsellino, raccontò: “Dopo la strage Falcone, Paolo Borsellino mi disse che voleva arrestare il procuratore di Palermo, Pietro Giammanco. E una settimana prima che lo uccidessero, lo vidi scrivere in maniera convulsa sulla sua agenda rossa. Non so cosa stesse appuntando, ma mi disse, arrabbiatissimo, che ce n’era per tutti e che era finito il tempo di scherzare”. Agli atti dell’inchiesta appena sfociata nell’invito a comparire per essere interrogato notificato all’ex componente del pool antimafia con Falcone e Borsellino, Gioacchino Natoli, vi sono anche tanti riferimenti a Pietro Giammanco, morto nel 2018. Molto probabilmente anche lui avrebbe ricevuto lo stesso invito a comparire se fosse stato ancora in vita.

Nell’estate del ’92, dopo le esplosioni di Capaci e via D’Amelio, il 23 luglio otto sostituti procuratore firmarono un documento di dimissioni dal pool antimafia in segno di protesta contro il capo dell’ufficio, il procuratore Giammanco, accusato di non garantire un’adeguata condizione di sicurezza per i magistrati. Gli otto furono Ignazio De Francisci (poi procuratore ad Agrigento), Giovanni Ilarda, Antonio Ingroia, Alfredo Morvillo, Antonio Napoli, Teresa Principato, Roberto Scarpinato e Vittorio Teresi. Fu un atto di sfiducia. E Pietro Giammanco ad agosto presentò istanza di trasferimento e lo ottenne. Nell’invito a comparire notificato a Natoli, Giammanco è definito dai magistrati nisseni “l’istigatore di un disegno criminoso”, ovvero l’elusione delle indagini sul dossier ‘mafia e appalti’, favorendo mafiosi, politici e imprenditori. Nel ’95 Giammanco fu inquisito perché un ex killer figlioccio di Riina, Giuseppe Marchese, poi collaboratore della giustizia, raccontò che lui, Giammanco, aveva intascato una mazzetta da due miliardi di lire per ammorbidire le posizioni di alcuni indagati. Giammanco rispose subito con una denuncia per calunnia. L’inchiesta per corruzione fu archiviata. Non emerse alcun riscontro alle dichiarazioni di Marchese.

Nel 2013 Vittorio Teresi al processo “Borsellino Quater” dichiarò: “Borsellino mi rivelò che una fonte molto attendibile gli aveva parlato di rapporti fra un noto esponente politico e alcuni indagati di mafia. E aggiunse di non farne parola con nessuno, perché la notizia non doveva arrivare a Giammanco”. In particolare la fonte rivelò che il mafioso Angelo Siino, già ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra, si sarebbe rivolto a Salvo Lima, affinchè sensibilizzasse, tramite un altro politico Dc di rilievo, Mario D’Acquisto, il procuratore Giammanco”. Poi Angelo Siino, dopo avere saltato il fosso, interrogato come collaboratore della giustizia, precisò: “E’ stato Pino Lipari, prestanome di Provenzano, e non io, a muoversi sull’onorevole D’Acquisto, affinchè si attivasse nei confronti di Giammanco. Lipari e l’imprenditore Vito Buscemi cercarono di ovviare alle conseguenze delle indagini su mafia e appalti”. E poi, dalle pagine della cronaca del tempo emerge che il procuratore Giammanco non informò Paolo Borsellino dell’informativa dei Carabinieri del Ros che annunciava l’arrivo del tritolo a Palermo, nel mese di giugno ‘92. Borsellino si arrabbiò molto col procuratore, con il quale i rapporti sarebbero stati sempre tesi. Paolo Borsellino invocava da mesi il coordinamento delle indagini su Palermo. Solo il giorno in cui fu ucciso, alle 7 del mattino del 19 luglio, Giammanco gli telefonò per comunicargli che gli avrebbe affidato il coordinamento delle indagini su Palermo. Poche ore dopo quel tritolo esplose in via D’Amelio.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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