La Cassazione rende definitive le condanne al quarto processo sulla strage Borsellino, imbastito con le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza che hanno svelato il depistaggio.
La Cassazione ha appena confermato la sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, presieduta dal giudice Andreina Occhipinti, il 15 novembre del 2019, che ha a sua volta confermato la sentenza emessa in precedenza dalla Corte d’Assise nissena, presieduta dal giudice Antonio Balsamo, il 20 aprile del 2017.
E ciò al cosiddetto “Borsellino Quater”, ovvero il quarto processo sulla strage di Via D’Amelio frutto delle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, della revisione e l’annullamento degli ergastoli ai condannati innocenti, e del depistaggio delle indagini. Dunque, sono stati confermati l’ergastolo a carico dei boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, e poi 10 anni di reclusione ciascuno, per calunnia, a Francesco Andriotta e Calogero Pulci, che sono i falsi pentiti sbugiardati da Gaspare Spatuzza, che ha smentito anche il più celebre Vincenzo Scarantino, per il quale il reato di calunnia pluriaggravata è stato dichiarato prescritto.
Salvo Madonia sarebbe stato tra i mandanti della morte di Paolo Borsellino. Vittorio Tutino, invece, avrebbe partecipato alla fase esecutiva della strage. I tre falsi pentiti, Scarantino, Andriotta e Pulci sarebbero stati gli attori protagonisti del “depistaggio colossale”, come lo ha definito il già procuratore aggiunto a Caltanissetta, Sergio Lari, che ha indotto i giudici fino alla Cassazione a costringere all’ergastolo, e alla detenzione per tanti anni, sette innocenti per i quali, adesso che la sentenza del “Borsellino Quater” è stata resa definitiva dalla Cassazione, sarà avviato il processo di revisione. Nel corso della requisitoria innanzi alla Suprema Corte, il sostituto procuratore generale, Pietro Gaeta, in riferimento alle calunnie dei falsi pentiti imbeccati dai depistatori, si è espresso così: “Una mostruosa costruzione calunniatrice, una delle pagine più vergognose e tragiche della storia giudiziaria italiana, di una gravità tale da escludere qualunque circostanza attenuante”. Ad abbattere tale “mostruosa costruzione calunniatrice”, come definita da Gaeta, è stato il boss di Brancaccio Gaspare Spatuzza, che nel 2008 ha confessato di essere stato lui a rubare la Fiat 126 poi imbottita di tritolo per l’attentato. E ha sconfessato la versione di Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura, già condannato a 12 anni per calunnia con rito abbreviato, ovvero i criminali di quartiere che si sono auto-accusati del furto della Fiat 126, con dichiarazioni confermate da Francesco Andriotta e in seguito da Calogero Pulci. Nel 2009, Scarantino, nel frattempo condannato a 18 anni, e Andriotta dichiararono ai magistrati di essere stati costretti da Arnaldo La Barbera, ex capo della Squadra Mobile di Palermo, e dal suo gruppo investigativo a confessare il falso con pressioni psicologiche, maltrattamenti e minacce. La Barbera è morto a Roma il 12 dicembre del 2002, e adesso il suo gruppo investigativo è sotto processo di primo grado a Caltanissetta. Imputati, di concorso in calunnia, sono il funzionario di Polizia Mario Bò, e gli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. E sono state archiviate le indagini per calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa Nostra in concorso con i poliziotti, sostenute dalla Procura di Messina, su due magistrati eccellenti per i quali si è ipotizzato che avessero partecipato all’imbeccata dei falsi pentiti: Anna Maria Palma, che oggi è avvocato generale a Palermo, e Carmelo Petralia, attualmente procuratore aggiunto a Catania.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)