Il pubblico ministero Gloria Andreoli, ben tre anni dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, ha chiesto il rinvio a giudizio per i sei indagati.
I dipendenti della coop Suami, secondo quanto ipotizza il pm, avrebbero accettato il sistema del “cavallo di ritorno” per evitare il licenziamento. Prima gli sarebbe stata imposta la decurtazione dei soldi in contanti, poi sarebbero stati obbligati ad aprire un conto corrente e consegnare carta bancomat e codice pin ai propri datori di lavoro. L’operazione “Stipendi spezzati” è stata eseguita nel 2017 dai carabinieri di Licata.
Sotto accusa erano finiti Salvatore Lupo, 45 anni, di Favara, amministratore unico della cooperativa Suami che gestisce una comunità per disabili psichici (finita peraltro al centro di un’altra inchiesta per maltrattamenti che, di recente, ha portato ai rinvii a giudizio) ucciso il giorno di Ferragosto in un bar di Favara, Maria Barba, detta Giusy, 39 anni, ex moglie di Lupo, ritenuta la responsabile di fatto delle due sedi operative della struttura; Rosa Sferrazza, 70 anni, di Favara, considerata la “prestanome” di Lupo dal febbraio del 2016; Caterina Federico, 38 anni, di Licata, presunta responsabile di fatto dal 2008 al 2016 di una delle sedi operative della cooperativa; Veronica Sutera Sardo, 34 anni, di Agrigento, assistente sociale delle cooperative e Linda Modica, 54 anni, di Licata, operatrice della struttura. Lupo, Barba, Federico, Sferrazza e Sutera Sardo sono accusati di associazione a delinquere.
Per la sola Modica il giudice ha disposto il non luogo a procedere per avvenuta prescrizione. Lupo, che sarebbe stato ucciso dall’ex suocero Giuseppe Barba, non sarà processato in quanto morto dopo la richiesta di rinvio a giudizio. Il giudice, nei suoi confronti e nei confronti di Sferrazza, ha emesso una sentenza di non luogo a procedere “per morte del reo”. Gli altri compariranno davanti ai giudici della prima sezione penale a partire dal 30 giugno.