La proposta arriva da Nicola D’Amore, sindacalista e agente penitenziario nel carcere: “Parlare in carcere della vicenda del giovane geometra romano è ancora tabù: perché non cominciamo a infrangerlo proiettando il film nel nuovo cinema?”
BOLOGNA – “Credo sarebbe molto significativo, a dieci anni dalla morte di Cucchi, proiettare all’interno della Casa Circondariale di Bologna il film ‘Sulla mia pelle”.
Il desiderio, condiviso sia sulla pagina Facebook dell’Associazione Cinevasioni – che nell’Istituto Penitenziario organizza il corso di cinema, promuove l’omonimo festival e, solo pochi giorni, ha aperto il primo cinema in carcere aperto al pubblico – sia su quella dell’assessore comunale alla cultura Matteo Lepore, porta la firma di Nicola D’Amore, sindacalista e agente penitenziario di stanza proprio nel carcere della Dozza. “Parlare in carcere di Stefano Cucchi ancora oggi è un tabù – spiega – Dal mio punto di vista, invece, sarebbe importante aprire una discussione, sempre nel rispetto della magistratura e di quello che sarà deciso alla ne dei tre gradi di giudizio. Abbiamo la nuovissima sala cinematografica AtmospHera, perché non approfittarne per proiettare il film di Cremonini?”
D’Amore racconta di quando, con la famiglia, ha visto il film: “Mia figlia è ancora troppo piccola, mio figlio ha 11 anni e ha visto qualche immagine. Mi ha chiesto perché potrebbe essere accaduto un fatto così grave. Le sue parole mi hanno molto colpito: gli ho risposto che è necessario attendere la ne del processo, spiegandogli che, se le accuse dovessero rivelarsi fondate, bisognerà accettare il fatto che anche lo Stato, qualche volta, può sbagliare. Ho colto l’occasione per fargli leggere alcuni miei interventi sulla vita all’interno di un carcere per fargli capire come dovrebbe comportarsi un uomo che ha giurato fedeltà alla Costituzione”.
L’idea di D’Amore è proporre all’amministrazione penitenziaria della Rocco D’Amato l’organizzazione di una visione interna di “Sulla mia pelle” Leggi qui la recensione , di fronte a detenuti e agenti di polizia penitenziaria. Un’occasione di dibattito e confronto.
“Mi ritrovo nelle parole di Mauro Palma: uno Stato è forte quando non nasconde, ma sa affrontare le sue ferite. Le carceri dovrebbero essere luoghi trasparenti e avere il coraggio di affrontare tutto ciò che avviene al loro interno” – ha poi concluso.