Ciao Michela,
mi sono presa qualche ora prima di scriverti.
Negli ultimi periodi, nelle ultime settimane, per me molto difficili, mi sono abbeverata al tuo modo di concepire la vita; che non era solo coraggio, tempra, carattere; era anche quella capacità di mostrare la parte di noi stessi che tanto ci sforziamo di nascondere.
Tutto deve essere perfetto, omologato, “giusto”.
Mi hai insegnato che giusto è solo se è nostro, che la libertà di tutti è davvero libertà, che difendere un ideale sarà anche più difficile, ma è senza dubbio più bello che sedere su un trono fatto di ipocrisia, di falsità, di viltà.
Mi hai insegnato a guardare la vita dalla parte giusta, anche quando sembra sbagliata e a camminare senza fermarsi, tanto gli ostacoli ci sono sempre dietro l’angolo, basta imparare a saltarli, o a passarci di sotto.
Quel tuo piglio non mi era mai piaciuto tanto, quel tuo modo di stroncare ciò che non ti piaceva mi era sempre sembrato eccessivo; ma poi la tua malattia ha messo sotto i riflettori il tuo essere, la tua totale autenticità e allora la curiosità ha preso il sopravvento e ho deciso di guardarti un po’ più da vicino, per vedere cosa ci fosse sotto quel carattere che ha sempre brillato di luce propria.
E allora ho capito che meglio soli che male accompagnati, che le etichette vanno bene solo sulle cassette della frutta, che a decidere siamo sempre noi e che le passioni – questo l’ho sempre saputo – ci salvano.
Vorrei dirti grazie per “tre ciotole” che con delicatezza insegna a prendersi cura, ad avere cura, a lasciare che sia.
È stato.
Sarà.
Tu non ci sarai, ma ci saranno i tuoi moniti, i tuoi insegnamenti, le tue battaglie, le tue vittorie, la tua queer family che continuerà ad alimentare la gioia di vivere che hai insegnato a chi, prima di te, pensava che una consonare al maschile o al femminile potesse fare la differenza.
Oggi le differenze sono azzerate davanti alla tristezza che ci ha sorpresi mentre pensavamo che non fosse ancora l’ora di dirti addio.
Ciao Michela e grazie di tutto
Simona