di Mario Gaziano
E’ ben strano che la “casa” abbia ispirato sia nella narrativa che nella cinematografia “solo casi straordinari”
E’ ben strano, sì.
La “casa” nel cinema ha prodotto solo film horror:.
“La Casa” di Sam Raimi del 1981. Terrificante.
“La Casa 2” sempre di Raimi del 1987. Ottenebrante.
Addirittura una serie televisiva “La casa” colorita di sangue e trappole orripilanti.
In narrativa altre “case” straordinarie:
“La Casa Russia” celebre romanzo spy di John Le Carrè, dal quale l’omonimo film del 1990 con Sean Connery e Michelle Pfeiffer.
“La casa degli spiriti” romanzo esoterico di Isabel Allende, dal quale il tenebroso film del 1992 con Jeremy Irons e Meryl Streep
-“La casa verde” antropologico e intricato romanzo del Nobel Vargas Llosa.
Insomma una dimensione allegorica e metaforica della “casa”, alternativa, e mai comunque luogo di serenità e ri-unione di sentimenti e di solidarietà.
Come avevamo sempre creduto.
Contro la violenza di un virus violento e proditorio.
E, così, la nostra è ora la casa di pavesiana memoria dove silenziosi, pensierosi e colmi di sentimenti individuali agiscono uomini e donne, del presente e del passato . Nel silenzio. In disparte. Quasi in solitudine.
La “casa” in cui siamo obbligati diventa, oggi, una sorta di isola, di confino, di spazio condizionato .
E risuonano i versi di Pirandello di “Casa romita” (Ritorno): ultimo approdo di una vita di esperimenti, di sofferenze e di stanchezze.” Per ricondurmi a voi (a te) deluso e stanco”
Abbiamo amato la casa nelle sue accezioni poetiche, narrative, e drammaturgiche (“Casa di bambola” di Ibsen ,”La Casa di Bernarda Alba” di Garcia Lorca, “La casa nova” di Goldoni), ma oggi guardiamo pareti e finestre non per allargaci gli spazi della natura, del cuore ,della mente, ma piuttosto come spiragli per scrutare e studiare destini incerti e rapporti familiari, giorno dopo giorno, progressivamente distanti e inariditi.
Gli spazi che abbiamo amato, come nostri sentimentalmente e affettivamente, improvvisamente li leggiamo freddi, estranei ,abulicamente in-interlocutori.
E così –nel silenzio di una condizione obbligata- rimpiangiamo gli anni della nostra giovinezza, conditi dal bellissimo canto della dolcissima e struggente voce di Marisa Sannia (era il 1968) che evocava la sua lontana “casa” ( è la casa bianca che mai più io …) come scrigno di una gioventù oramai irrecuperabile
Quando finirà?
Analisi, la tua, profonda e saggia. Ammiro la tua versatilità anche nelle letture di cui ti sei nel tempo arricchito. Tu insegni a guardarci intorno, a riflettere, a capire, ad apprezzare ciò che la vita ci offre. Mi auguro per te e per noi tutti che le tue riflessioni non restino “vox clemantis in deserto”. Ti abbraccio (con la mascherina ????).