Nino Di Matteo testimone a Caltanissetta al processo sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio: agenda rossa, Servizi segreti, Contrada e Scarantino.
A Caltanissetta, al palazzo di giustizia, al processo a carico dei poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, imputati di concorso in calunnia, aggravata dall’avere favorito Cosa Nostra, nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio tramite il falso pentito Vincenzo Scarantino, ha deposto come testimone il magistrato Nino Di Matteo, attualmente componente del Csm, il Consiglio superiore della magistratura, e all’epoca parte del pool che indagò sulla strage. Nino Di Matteo, tra l’altro, ha affermato: “Non credo sia stata solo Cosa Nostra. Non credo che la strage di via D’Amelio sia solo di mafia. Il depistaggio cominciò con la scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino. E le indagini sul diario del magistrato partirono già il 20 luglio del 1992, il giorno dopo l’attentato. E’ chiaro che l’agenda rossa di Paolo Borsellino è sparita e non può essere sparita per mano di Graviano. Il mio impegno era finalizzato a capire per mano di chi fosse sparita. Abbiamo fatto il possibile per accertarlo, anche scontrandoci con reticenze bestiali sulla presenza di esponenti delle istituzioni nel luogo dell’attentato. Tutta l’indagine è stata portata avanti con grandissima incisività da parte mia e dei colleghi Carmelo Petralia e Anna Maria Palma. Io mi ero studiato le carte. Indagai a fondo sulla presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio dopo la strage. Fui io a riaprire le indagini su di lui sulla base delle dichiarazioni del pentito Francesco Elmo che ci aveva detto di avere visto Contrada allontanarsi dal teatro dell’attentato con dei documenti in mano. A quel punto lessi tutto il vecchio fascicolo, acquisii le sue agende. Vedendo quegli atti mi accorsi che c’era stato un ufficiale del Ros, Umberto Sinico, che era andato in Procura a Palermo e aveva riferito ad alcuni magistrati di aver saputo che la prima volante della Polizia, accorsa dopo l’esplosione in via D’Amelio, aveva constatato la presenza di Contrada. I poliziotti avevano fatto una relazione che poi era stata strappata in Questura. I colleghi avevano preso a verbale Sinico e mandato tutto a Caltanissetta, dove Sinico si era rifiutato di rivelare la sua fonte. Si avviò una indagine molto spinta sui Servizi Segreti. Io stavo per chiedere il rinvio a giudizio del carabiniere Sinico, che poi si decise a fare il nome della sua fonte, Roberto Di Legami, funzionario di Polizia. Di Legami negò tutto. Rinviato a giudizio fu poi assolto”.
E poi, ancora, in riferimento ai suoi rapporti con Scarantino, Nino Di Matteo ha risposto: “Ci tengo a dire che sono stato il primo a dire che Vincenzo Scarantino aveva il mio numero di telefono cellulare e mi chiamava. Mi telefonava perché qualcuno gli aveva dato il mio telefono. Ricordo un episodio particolare, quando mi mandò una sequenza di messaggi telefonici in cui sosteneva che il dottor Arnaldo La Barbera e Gabrielli lo avevano tradito nelle aspettative. E che voleva tornare in carcere, disse ‘nell’inferno di Pianosa’. Ricordo di avere detto ‘ma chi glielo ha dato il mio numero?’ E seppi che glielo aveva dato il procuratore Giovanni Tinebra. Io non do spiegazioni ma mi preme dire una cosa: in quel momento, siamo nel ’93-’94, era un momento nel quale i collaboratori di giustizia scontavano dei problemi e vedevano nell’ufficio del Procuratore la speranza di una soluzione di quei problemi. E poi, ancora, in riferimento alle polemiche insorte sulla “preparazione” del pentito Scarantino alla sua deposizione, Nino Di Matteo ha spiegato: “Ma che cosa significa preparare, dire al collaboratore ‘lei giorno tot comparirà davanti alla Corte d’Assise. Oppure ‘gli argomenti saranno questi’ e ancora ‘dica la verità’, né una cosa in più né una cosa in meno. Oppure ‘esponga in chiarezza, non entri in polemica’. Questo vuol dire preparare un collaboratore”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)