“Depistaggio Borsellino”: Genchi su La Barbera

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Al processo d’Appello in corso a Caltanissetta sul depistaggio delle indagini dopo la strage di Via D’Amelio ha deposto l’avvocato ed ex poliziotto Gioacchino Genchi. I dettagli.

Al processo di secondo grado in corso innanzi alla Corte d’Appello di Caltanissetta sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio, è stata riavviata l’istruttoria dibattimentale. Sono riascoltati i collaboratori di giustizia Vito Galatolo e Francesco Onorato, e l’avvocato ex poliziotto Gioacchino Genchi. E dunque la Corte d’Appello, presieduta da Giovanbattista Tona, che ha già ascoltato Galatolo e Onorato, adesso ha convocato Genchi, annunciando che la sua testimonianza sarebbe ruotata soprattutto intorno all’ex capo della Squadra Mobile di Palermo all’epoca delle stragi del ’92, Arnaldo La Barbera, indicato come il primo “burattinaio” del depistaggio e del falso pentito Vincenzo Scarantino, “il pupo da vestire”.

E tra l’altro Genchi ha raccontato: “Arnaldo La Barbera aveva preso una deriva e non stava lavorando per i miei fini che erano i fini istituzionali. Io non accettavo minimamente di trasgredire a quelli che erano i miei doveri istituzionali. La Barbera era stato istruito dal procuratore di Caltanissetta sui contenuti della sentenza del maxi processo che portava in modo automatico ad attribuire a Cosa Nostra qualsiasi evento fosse avvenuto a Palermo. Tutto ciò che c’è nelle dichiarazioni di Gaspare Mutolo, che portava a un ruolo equivoco di Bruno Contrada e altri appartenenti allo Stato, doveva essere sottaciuto perché si doveva chiudere così per poi avere la promozione e andare via da Palermo. Perché si doveva confezionare il pacco. Ricordo una frase di La Barbera: ‘L’ultima cosa che farò, quando andrò via, sarà fare un giro in elicottero per fare la pipì sulla questura di Palermo’. Siamo tra la fine del ’91 e l’inizio del ’92. La Barbera cercava di andare via da Palermo e non lo svincolavano perché non trovavano un successore. La Barbera era portatore di direttive precise, su questo voglio essere chiaro, non ha mai fatto nulla se non sotto la direzione diretta del capo della polizia. Ha eseguito direttive sempre e non ha mai agito autonomamente. 

Oggi è troppo facile processare i morti e questa è l’unica certezza che ho. La strategia di La Barbera era quella di ‘vestire il pupo’. Chiudere, fregarsene di tutto e di tutti e chiudere le indagini. Perché a Roma volevano che si facesse così. La mia fonte era La Barbera stesso. Mi spiegò che a Roma stavano prendendo atto, non piacevolmente, del coinvolgimento di Contrada nelle indagini. Erano preoccupati perché Contrada era stato sempre un uomo delle istituzioni e c’era la paura di quello che poteva tirare fuori. Contrada era stato mollato, era stato espulso dal sistema, che a quel punto si doveva ricompattare. L’imminente arresto di Contrada diede il via a una marcia indietro. Da quel momento iniziano le certezze di La Barbera di avere la promozione, inizia il tentativo di chiudere e di semplificare le cose, di ‘vestire il pupo’ come disse lui stesso”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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