“Depistaggio Borsellino”, parola alle Parti civili

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Al processo in corso al Tribunale di Caltanissetta sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio intervengono gli avvocati delle Parti civili. I dettagli.

Al processo in corso innanzi al Tribunale di Caltanissetta, sul presunto depistaggio delle indagini dopo la strage di Via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino, la Procura ha già chiesto la condanna dei tre poliziotti imputati di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia allorchè avrebbero imbeccato il falso pentito Vincenzo Scarantino: 11 anni e 10 mesi di reclusione a carico di Mario Bo, e 9 anni e mezzo di detenzione ciascuno per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Ebbene adesso sono intervenuti gli avvocati delle Parti civili costituite in giudizio.
L’avvocato Giuseppe D’Acquì, che assiste Natale Gambino, condannato all’ergastolo da innocente, ha affermato: “Il nome di Falcone e Borsellino è stato infangato dal gruppo investigativo ‘Falcone e Borsellino’ di Arnaldo La Barbera, istituito per tutelare le vittime della strage, per accertare la verità e assicurare alla giustizia i veri colpevoli. Oggi potrei dire le stesse, identiche, cose che avevo detto 20 anni fa, solo che 20 anni fa siamo stati calpestati, sbeffeggiati. Ma quelle prove sono rimaste intatte. Allora io dissi che Scarantino è stato uno specchio per le allodole, ha attirato l’attenzione su di sé, allontanando chi voleva la verità. Io dissi allora che in via D’Amelio c’è stata la manina dei servizi segreti deviati, e oggi dico la ‘manona’ dei servizi segreti deviati, diretti da una regia occulta. Dalle prime battute bisognava accorgersi che Scarantino era assolutamente inaffidabile, ma non sapevamo quali fossero i retroscena, potevamo immaginarlo, ma non potevamo spingerci più di tanto, perché non avevamo nessun elemento. E’ stato un maledetto imbroglio. E mi chiedo perché: per la carriera di Arnaldo La Barbera che fu promosso questore? Per la carriera di Mario Bo?”.
L’avvocato Fabio Repici, che rappresenta la famiglia di Salvatore Borsellino, è intervenuto così: “Scarantino è un impostore. L’impostura, più che il depistaggio, è nata da subito ed è nata in una piattaforma di spudorata illegalità, perché il 20 luglio del 1992, il giorno dopo la strage, il procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, personalmente incarica Bruno Contrada, ex dirigente dei Servizi segreti, chiedendone l’aiuto alle indagini. Non è una questione di galateo istituzionale: era vietato dalla legge. E l’agenda di Contrada è una delle mappe con cui leggere il depistaggio. L’auspicio è che gli organi dello Stato per una volta vogliano salire per la filiera delle responsabilità”.
L’avvocato Rosalba Di Gregorio, che assiste un altro ergastolano innocente, Gaetano Murana, ha arringato così: “Nei primi processi abbiamo avvertito delle anomalie, si sapeva che Scarantino era psicolabile. Avevamo la sensazione di difendere gente innocente, perché c’era persino una perizia psichiatrica su Scarantino, ma non andava toccato e quindi non si poteva dire. Fu congedato dal servizio militare perché ritenuto dai medici neurolabile. Però quando noi abbiamo chiesto una perizia ci fu negata. Sempre. Non c’era bisogno di aspettare Gaspare Spatuzza per la verità. Noi avevamo uno Scarantino che, e oggi lo dicono tutti, aveva una tale mancanza di spessore come persona, non come mafioso. Era assolutamente non presentabile, perché psicolabile e come tale certificato. Coloro che lo gestivano e lo hanno valorizzato come fonte, lo sapevano. Se non lo sapevano, lo hanno saputo durante l’esame quando in aula chiesi alla Corte di fare una perizia psichiatrica perché Scarantino all’evidenza non dava segnali di linearità e di ragionamenti coerenti. L’unica cosa che abbiamo guadagnato all’epoca fu un titolo di telegiornale: ‘La mafia chiede la perizia psichiatrica’. La mafia ero io, evidentemente…. La Corte rigettò la richiesta, perché Scarantino non andava toccato, perché si doveva arrivare fino alla fine. Non lo dicevo io, ma all’epoca lo capì pure la dottoressa Boccassini, come anche il dottor Sajeva, che, non fidandosi dei loro colleghi, mandarono gli atti a Palermo. E poi, quando Scarantino era in località protetta, a San Bartolomeo al Mare, la mancata registrazione delle sue telefonate con i magistrati di Caltanissetta e con la polizia, e non invece con i familiari, non può essere solo una coincidenza. No, non credo alle coincidenze, e nemmeno al ‘training psicologico’, come sostenuto da alcuni magistrati. Anche l’ex poliziotto, Giampiero Valenti, ha dichiarato di avere avuto l’ordine di bloccare le intercettazioni di Scarantino perché doveva parlare con i magistrati. Hanno tentato di farci passare per deficienti sulla ‘preparazione’ di Vincenzo Scarantino. Il falso pentito è stato istruito dai tre poliziotti per poi recitare un copione sul ‘palcoscenico’ dell’aula di giustizia. A Vincenzo Scarantino si affidò l’ingrato compito di accusare i suoi vicini di quartiere. Un balordo, un delinquentello da due soldi si poteva trovare, sarebbe stato anche più facile. Ma occorreva Scarantino, perché era imparentato con parentela spendibile e perché portava al quartiere della ‘Guadagna’. Solo dei perfetti estranei potevano essere esposti in ruoli di copertura rispetto ai reali responsabili, solo con loro si poteva perché non avrebbero creato danni. L’agenda rossa di Borsellino non l’ha presa Cosa Nostra, non l’hanno presa gli uomini dei boss mafiosi. Anche perché Cosa Nostra non sapeva cosa farsene di quell’agenda rossa. Dunque l’hanno presa soggetti esterni alla mafia, probabilmente chi è stato avvertito di qualche ‘scoperta’ che Borsellino aveva fatto sulla strage Falcone e che, magari imprudentemente, avrà rivelato alla persona sbagliata”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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