Il depistaggio delle indagini dopo la strage contro Paolo Borsellino: i rimorsi del falso pentito Scarantino e il rammarico di coloro che lo hanno sconfessato.
Il 12 luglio scorso il Tribunale di Caltanissetta ha emesso la sentenza di primo grado al processo sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio: no all’aggravante mafiosa, due prescrizioni e un’assoluzione. Nessun colpevole tra il funzionario Mario Bo, ex capo del gruppo d’indagine “Falcone e Borsellino” diretto dal defunto Arnaldo La Barbera, e gli ispettori in pensione Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, che si occuparono della tutela di tre falsi pentiti, Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura. Bo, Mattei e Ribaudo avrebbero suggerito ai tre falsi collaboratori la versione da fornire agli inquirenti e i nomi da indicare quali responsabili della strage. La falsa verità, a cui tanti anni i giudici hanno creduto, ha nascosto i veri colpevoli, ed ecco perchè la Procura sostiene che la calunnia abbia favorito la mafia. Ed è costata la condanna all’ergastolo a sette innocenti, poi scarcerati, e che si sono costituiti parte civile in giudizio.
E tra i difensori degli innocenti, scagionati dal pentito Gaspare Spatuzza che ha sconfessato Scarantino, vi è l’avvocato Rosalba Di Gregorio, che ha assistito anche Bernardo Provenzano, e che adesso, traendo spunto da quanto appena affermato da Scarantino su La 7 a Giletti: “Vivo nei rimorsi, per avere accusato degli innocenti”, racconta all’AdnKronos: “Noi avvocati non fummo creduti, eppure per anni abbiamo detto ai pubblici ministeri e ai giudici che Vincenzo Scarantino mentiva, che era uno psicolabile. Ma non solo non fummo creduti, i magistrati ci guardavano come fumo negli occhi. Solo tanti, troppi, anni dopo ci credettero. Ma ormai era troppo tardi, degli innocenti finirono ingiustamente in carcere con un’accusa gravissima: l’avere partecipato alla strage di via D’Amelio. Che Scarantino fosse psicolabile lo abbiamo provato.
Ricordo i confronti che furono fatti durante le indagini sulla strage Borsellino, tra Scarantino e tre collaboratori di giustizia: Salvatore Cancemi, Gioacchino La Barbera e Santino Di Matteo. Ricordo, come fosse ieri, una frase di Scarantino che fece inorridire Cancemi, quando Scarantino, parlando delle gerarchie in Cosa Nostra e del suo ruolo, disse ‘guardia’ invece di ‘soldato’. Cancemi era inorridito e disse che stava recitando un copione, ma non fu creduto”.
L’avvocato Di Gregorio cita testualmente la reazione di Cancemi, che si rivolse così a Scarantino: “Guarda, guardami! Ti posso dare del tu? Perché io non ti conosco, non ti ho mai visto nella mia vita…”. Scarantino: “Io lo conosco”. Cancemi: “Ma tu sei uomo d’onore? Sai che significa, che vuol dire uomo d’onore? Che intendi tu? Spiega che significa uomo d’onore. Tu non lo sai cosa significa uomo d’onore, tu sei un bugiardo. Chi te l’ha fatta questa lezione? Dicci la verità, devi dire la verità, ma chi ti conosce, ma chi sei? Ascoltami, ascoltami, io t’invito a dire la verità qua, in presenza di questi signori giudici, chi ti ha fatto questa lezione? Chi ti ha detto di dire queste cose? Chi ti ha messo queste parole in bocca? Tu se sei veramente una persona seria… Chi te l’ha detto? Dici la verità. Qua se tu hai coraggio, se sei uomo d’onore, perché tu nemmeno sai che significa la parola uomo d’onore”. Cancemi, che partecipò alla strage Borsellino, poi si rivolse ai magistrati: “Attenzione, state attenti, è falso, non credete nemmeno a una virgola di quello che vi sta dicendo, perché non so chi è, non lo conosco, io sono convinto, io sono convintissimo… che a questo qua queste parole gliele hanno messe in bocca, gli hanno fatto una lezione e ora la sta ripetendo”. E poi l’avvocato Rosalba Di Gregorio conclude: “Ci sono una serie di elementi processuali dai quali si capiva che Scarantino mentiva. E poi, perché affidare quelle indagini al gruppo investigativo “Falcone e Borsellino” diretto da Arnaldo La Barbera? Perché lo dovevano istruire, è semplice… Noi quei pubblici ministeri poi inquisiti li abbiamo denunciati in aula, ma non fummo mai creduti. Li denunciammo anche per omissione per intercettazioni e atti che non furono depositati, carte che riguardavano gli imputati del processo per la strage. Noi dicemmo al Presidente: ‘Vuole dire ai pubblici ministeri di depositare quelle carte?’. Ma la risposta era sempre la stessa: ‘No, non riguardano gli imputati’. Ma non era così”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)