La Cassazione risolve il caso insorto a seguito di un ricorso presentato dal figlio di Riina, Giovanni, ergastolano al 41 bis, sullo scambio di cibo tra detenuti.
Giovanni Riina, 43 anni, primo figlio maschio e secondo dei quattro figli di Salvatore Riina, sconta l’ergastolo per essere stato mandante ed esecutore degli omicidi a Corleone di Giuseppe Giammona, ucciso il 29 giugno del 1995 innanzi alla fidanzata, e poi della sorella Giovanna Giammona e di suo marito Francesco Saporito, assassinati pochi giorni dopo. Perché? Perché le vittime sono state sospettate di pedinare Giovanni Riina, tramando un rapimento. E il 22 giugno del 1995 Giovanni Riina avrebbe strangolato e ucciso “il dottore di Canicattì”, Antonino Di Caro, capo di Cosa nostra agrigentina, anche lui sospettato, ma non è vero, di avere tradito e provocato l’arresto del boss di Santa Elisabetta, Salvatore Fragapane. Adesso Giovanni Riina è stato interessato da una sentenza della Cassazione che ha sancito il divieto dei detenuti al 41 bis, appartenenti allo stesso gruppo di socialità, di scambiarsi del cibo, fosse anche solo per condividere un fugace gesto conviviale. Il ricorso è stato presentato da Giovanni Riina, ristretto al 41 bis nel carcere di Spoleto, in provincia di Perugia, in Umbria. Il figlio del “Capo dei capi” ha presentato un reclamo al Tribunale di Sorveglianza di Spoleto contro la decisione del direttore del carcere che ha vietato lo scambio di generi alimentari tra i detenuti al regime del 41 bis. Riina ha ritenuto ingiusto tale divieto ma il magistrato di Sorveglianza di Spoleto ha risposto picche. Ecco perché, tramite il suo avvocato, Giovanni Riina ha proposto un nuovo ricorso al Tribunale di Sorveglianza di Perugia che, invece, ha accolto le sue doglianze. Infatti, secondo i giudici di Perugia il no allo scambio di cibo avrebbe peccato di incostituzionalità. E il Tribunale di Sorveglianza perugino ha scritto: “Lo scambio di oggetti di modico valore, i soli consentiti dall’ordinamento, e specificamente quello di generi alimentari, non arreca un danno al soddisfacimento delle esigenze sottese al regime del 41 bis”. La palla contesa tra Spoleto e Perugia è rimbalzata in Cassazione, che ha recepito e condiviso le ragioni del direttore del carcere di Spoleto e ha ritenuto ragionevole il divieto. Infatti, secondo la Suprema Corte, che ha risolto il caso, lo scambio di oggetti non è necessario alla socializzazione e, considerando che la ragione sottesa al divieto imposto dal carcere è quella di arginare i flussi informativi tra detenuti di spicco, lo stesso divieto ben si coniuga con le esigenze proprie del regime di detenzione speciale. E i giudici della Cassazione hanno scritto: “In tema di regime detentivo differenziato, la prescrizione prevista dall’articolo 41 bis, che impone all’Amministrazione penitenziaria di adottare tutte le misure di sicurezza volte ad assicurare l’assoluta impossibilità per i detenuti di scambiare oggetti tra loro, riguarda tutti i detenuti a prescindere se appartenenti al medesimo o a diversi gruppi di socialità. L’interpretazione di questo principio non può escludere categorie di beni, nemmeno i generi alimentari. Gli stessi generi alimentari sono a disposizione di ciascun detenuto, e il loro scambio, pertanto, non è finalizzato al soddisfacimento di necessità impellenti”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)