Quante giovani donne uccise, quanto dolore e quanti ragionamenti attorno all’ennesimo femminicidio, termine coniato per cambiare la narrazione della violenza, sostituendo locuzioni come “delitto passionale”, “raptus di follia” o “dramma della gelosia”. Vi è una dimensione collettiva della responsabilità per le continue violenze contro le donne. Bisogna scardinare un sistema che opprime le donne a livello economico, sociale, politico e culturale. Le discriminazioni di genere, la divisione di ruoli e quei poteri disuguali tra donne e uomini sono fattori che costringono la donna a permanere in una condizione di subalternità in cui si alimenta il ciclo della violenza. Nel tempo, sono stati attivati strumenti internazionali: dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne” ONU 1993; “Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne”, ONU 1979 e tante altre ancora, tra convenzioni e dichiarazioni. Oggi, dopo l’ennesimo femminicidio, si riaccendono le luci nei “salotti intellettuali ” delle nostre tv. Tavole rotonde dove ancora una volta si scontrano dichiarazioni e riti ripetuti. Bisogna avere il coraggio di ammettere che il femminicidio trova il suo fondamento nella violenza sessista dell’uomo radicata nella nostra società. Bisogna che la scuola faccia la sua parte, con interventi educativi fin da piccoli. Bisogna educare alla non violenza, al rispetto della parità di genere, alla creazione di relazioni positive e paritarie. Non basta la repressione se non si fa prevenzione. Bisogna che la politica discuta da subito ed approvi, una legge che introduca l’educazione al rispetto e all’affettività in tutte le scuole del nostro Paese. Parlare di amore, di rispetto aiuterebbe certamente a “colorare” una società ormai “sbiadita” e indifferente dichiara Aldo Mucci. Ed ancora: “il mio sogno è quello di vedere una grande manifestazione di soli uomini contro la violenza sulle donne” conclude Mucci
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