Riflessioni di Nino Di Matteo sul perché dell’ultraventennale latitanza di Matteo Messina Denaro. E sul 41 bis: “Non è una misura afflittiva ma preventiva”.
Il magistrato Nino Di Matteo rilancia e spiega ancora meglio, ancora al microfono del Tg2 Post, il come la ultraventennale latitanza di Matteo Messina Denaro sia favorita anche dal suo potere di ricatto perché tra gli ultimi custodi dei segreti del periodo delle stragi tra il ’92 e il ’94. E Nino Di Matteo afferma: “Matteo Messina Denaro è stato uno degli strateghi delle bombe del ’93, tra Roma, Firenze e Milano, che non sono tipiche di mafia. Il pentito Gaspare Spatuzza diceva ‘quei morti non ci appartengono’. Sono bombe di dialogo e di ricatto. Chi è custode di questi segreti è in grado di esercitare questo ricatto. Ci sono collaboratori di giustizia come Antonino Giuffrè che dice che Messina Denaro è in possesso di documenti di Riina che non sono stati pervenuti dal covo di Riina perché, ormai è storia, quel covo non venne mai perquisito”. E poi ancora, ancora parole di Di Matteo: “Cosa nostra è l’unica organizzazione al mondo che è riuscita a concepire stragi, centinaia di omicidi eccellenti tra magistrati uomini delle forze dell’ordine, politici, sindacalisti, predetti e giornalisti. Questo perché Cosa Nostra è la più politica tra le organizzazioni mafiose. E’ quella che ha avuto sempre la maggior capacità di intessere rapporti col potere e di sfruttarli a proprio favore. E’ quella che ha avuto la maggior capacità di condizionare scelte politiche nazionali. Basta pensare alle sentenze del processo Andreotti e del processo Dell’Utri e quella di primo grado del processo trattativa Stato-mafia”. Poi Nino Di Matteo conclude sul 41 bis, il regime carcerario duro, il cui “alleggerimento” sarebbe stato conteso nella presunta trattativa Stato – mafia, e che recentemente è stato anche oggetto di rimproveri all’Italia da parte della Cedu, la Corte europea per i diritti umani. E Di Matteo replica così: “Certo è che le stragi, e quei delitti avvenuti tra il 1992 ed il 1994, secondo quanto affermato da diversi collaboratori di giustizia, avevano tra gli obiettivi anche quello di portare ad un alleggerimento del cosiddetto 41 bis, il carcere duro. E’ un regime detentivo speciale che negli ultimi anni è finito nel mirino della Corte Europea di Strasburgo. Con tutto il rispetto per le Corti europee, io credo che quelle pronunce abbiano un problema di fondo. Il 41 bis non è una misura afflittiva. E’ una misura di prevenzione, per prevenire il pericolo che il capo mafia detenuto continui a comandare. Il 41 bis è stato importantissimo ed ha evitato sicuramente altre morti. Probabilmente deve essere meglio applicato nei confronti di chi veramente comanda, non con una misura di ulteriore afflizione. Mai bisogna pensare che lo Stato si debba accanire contro i detenuti. Ma deve essere uno strumento di prevenzione. Purtroppo negli ultimi anni, per delle carenze strutturali del sistema carcerario e con esse la carenza di uomini e mezzi, possiamo dire che l’applicazione del 41 bis è stata annacquata”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)