Al processo in Corte d’Assise d’Appello a Palermo, l’avvocato Basilio Milio interviene a difesa del generale Mori: “La trattativa Stato-mafia è una favoletta inventata”.
Lo scorso 7 giugno, al processo di secondo grado in corso innanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta “trattativa” tra Stato e mafia all’epoca delle stragi, la Procura Generale, a conclusione della requisitoria, ha invocato la conferma delle condanne inflitte in primo grado il 20 aprile del 2018. E dunque, tra gli altri, 12 anni di carcere a carico del generale dei Carabinieri del Ros, Mario Mori, già a capo del servizio segreto civile. Ebbene, nell’aula bunker del carcere “Pagliarelli” a Palermo, ha appena svolto l’arringa, per oltre quattro ore, il difensore di Mori, l’avvocato Basilio Milio, che, tra il tanto altro, ha affermato: “La ‘trattativa’ tra Stato e mafia non è mai esistita, è una favoletta inventata, data in pasto all’opinione pubblica per distrarla da storie poco commendevoli. Il generale Mario Mori è da anni vittima di un killeraggio mediatico e di una giurisdizione politico-mediatica che tace davanti all’indagine ‘mafia e appalti’. Perché?” E poi: “Il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno chiesero l’interlocuzione di Vito Ciancimino nell’ambito di una attività info-investigativa per la cattura di latitanti, come emerge anche dalla sentenza di assoluzione dell’ex ministro Calogero Mannino”. E poi, rivolgendosi direttamente ai giudici, l’avvocato Milio ha proseguito così: “Voi dovete ristabilire la verità anche per i giudici Falcone e Borsellino e per chi è morto per combattere la mafia. Voi qui siete colleghi di Falcone e Borsellino, ricordatevelo”. E poi l’avvocato ha sollevato l’interrogativo: “Il generale Mario Mori ha minacciato o no il governo? Perché è questo il reato per cui il generale Mori è stato condannato a 12 anni ed è ancora sotto processo. Qui si è parlato di trattativa, vera o presunta, ma anche nella requisitoria non si fa riferimento alcuno alla minaccia a corpo politico dello Stato che è il vero reato al centro di questo processo. La sentenza di condanna di primo grado è fallace sul reato della minaccia al governo. Il capo di imputazione a carico del generale Mori è che avrebbe realizzato una minaccia al governo. Perché voi, signori giudici, possiate decidere deve essere chiara una cosa: Mori ha minacciato o no il governo nel 1993 come ritenuto in sentenza? Siamo sicuri che Vito Ciancimino abbia detto che ci sarebbe stata una spaccatura tra Riina e Provenzano? No, non ci sono prove, anzi, al contrario abbiamo la certezza che non lo abbia detto”. Poi, l’avvocato Milio è intervenuto sulla strage di via D’Amelio contro Paolo Borsellino, così: “A carico di Mario Mori vi è un’accusa morale ancora più odiosa, che si addebita ai Carabinieri: e cioè che l’avvio dei contatti Ros-Ciancimino abbia causato un’accelerazione del progetto di attentato a danno di Borsellino e dunque la sua morte. L’accelerazione non si è mai verificata. Al di là di una cadenza quasi bimestrale degli attentati – Lima, marzo ’92; Capaci, maggio ’92; via D’Amelio, luglio ’92 – vi sono elementi che portano a dire che la strage via D’Amelio era in preparazione da mesi. Lo dice Gaspare Spatuzza, secondo cui l’esplosivo era già stato predisposto. E lo afferma anche il pentito Francesco Onorato. L’unico che parla di ‘accelerazione’ è stato Giovanni Brusca ma lo fa come ‘mera ipotesi”. Le arringhe difensive proseguiranno lunedì prossimo, 5 luglio, con l’intervento del difensore del colonnello Giuseppe De Donno, l’avvocato Francesco Romito.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)