L’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, interviene in replica alla relazione della Commissione regionale antimafia sul fallito attentato subito.
La Commissione regionale antimafia presieduta da Claudio Fava ha appena approvato all’unanimità e ha pubblicato la relazione conclusiva dell’inchiesta sul fallito agguato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci. La conclusione, in estrema sintesi, è che, come ipotesi più plausibile, si sia trattato di una simulazione all’insaputa di Antoci. A fronte di ciò lo stesso Antoci replica: “Sono basito di come una Commissione, che solo dopo tre anni si occupa di quanto mi è accaduto, abbia sminuito il lavoro certosino e meticoloso che per ben due anni la Procura antimafia di Messina e le Forze dell’Ordine hanno condotto senza sosta, ricostruendo gli accadimenti con tecniche avanzatissime in uso alla Polizia Scientifica di Roma e che oggi rappresentano per l’Italia un fiore all’occhiello. Tali tecniche sono state utilizzate per ricostruire due attentati: in via D’Amelio nel ‘92 e contro di noi la notte del 18 maggio 2016 sui Nebrodi. La Commissione ha utilizzato audizioni di soggetti che non citano mai le loro fonti bensì il ‘sentito dire’ o esposti anonimi che la magistratura, dopo attenta valutazione e trattazione, ha dichiarato essere calunniosi. Peraltro, alcuni dei soggetti ascoltati hanno in corso procedimenti giudiziari per diffamazione sull’accaduto e precedenti condanne per il reato di falso. Procura e Tribunale di Messina scrivono testualmente: ‘E’ innegabile che tale gravissimo attentato sia stato commesso con modalità tipicamente mafiose, con la complicità di altri soggetti che si sono occupati di monitorare tutti gli spostamenti dell’Antoci e di segnalarne la partenza dal Comune di Cesarò: un vero e proprio agguato meticolosamente pianificato e finalizzato non a compiere un semplice atto intimidatorio o dimostrativo, ma al deliberato scopo di uccidere’. Anche sul movente dell’agguato i magistrati non dubitano e scrivono: “Sin dall’inizio le indagini si sono indirizzate sulle penetranti azioni di controllo e repressione delle frodi comunitarie nel settore agricolo-pastorale, da tempo avviate da Antoci’. Non potrà mai il Presidente Fava trovarmi d’accordo su quanto mi disse durante la mia audizione, quando affermò che i Magistrati e le Forze dell’Ordine hanno lavorato male. Non è così. Hanno invece reso il massimo impegno, utilizzando le migliori intelligenze e tecniche investigative e informatiche esistenti. Come mai, invece, la Commissione, come prevede la Legge Regionale, non si è occupata anche dei milioni di euro che sono stati colpiti dal Protocollo Antoci e delle possibili connivenze che sarebbero da verificare all’interno dell’apparato regionale che per anni ha assistito inerme ad un affare che per la mafia si è rivelato maggiore del lucroso mercato della droga? Sulla mafia dei terreni nessuna inchiesta. Sul loro sistema di collusioni nessun accertamento. Nessun atto a favore dei poveri agricoltori e allevatori che per anni hanno subito le vessazioni dei mafiosi rubando loro la dignità, i diritti e il futuro. Non si fa politica giocando con la vita delle persone, offrendo spunti a delegittimatori e mascariatori. Bisogna essere rigorosi e cauti, ci va di mezzo la sicurezza e la vita della gente. Ma purtroppo, passando il tempo, le cose pare si dimentichino, ed io non pensavo che proprio Claudio Fava dimenticasse ciò che è stato detto e fatto contro suo padre, ed il mascariamento che ha subito quando tutto veniva sminuito e legato a fatti personali e non alla mafia”.