L’apparenza inganna e inganna (spesso) fino alla fine.
Ho visto tantissime persone negli ultimi giorni commentare e criticare l’aspetto piangente della Ferragni a seguito dello scandalo “finta beneficenza” legato al panettone della Balocco; Il mondo dei social è pieno di commenti circa la non autenticità della famosa influencer mentre racconta in un video le sue scuse, mentre si mostra contrita cercando di far passare gli eventi come frutto di una sorta di ingenuità che – ovviamente – non le appartiene.
La cosa non mi ha sconvolto più di tanto.
So bene come funzionano i social, ma il problema è a monte.
Chi mette tutta la propria vita nel tritatutto dell’immagine e dell’apparire, alla fine rischia di rimanere vittima di sé stesso.
Così l’immagine della Ferragni, seguita da milioni di followers subisce uno scossone, mentre il mondo incomincia un po’ a riflette su alcuni meccanismi che regolano il marketing che dovrebbe sempre restare fuori dalla beneficenza che si può fare (ed anche dire) ma che deve avere parametri di trasparenza; sempre.
Però la gogna mediatica è altra cosa e non potendo in qualche modo “moderarla”, finisce per divenire un’arma vera e propria.
La gogna mediatica è propria di quel mondo in cui tutto deve passare al vaglio di chi segue, compra, costruisce la fortuna di un personaggio (o di una attività) e che al contempo si sente libero (spesso in dovere) di dire la propria senza filtri; e quel “dire la propria” spesso si traduce in offese senza filtri, in una forma letale di bullismo, in un boicottaggio spietato, in un moderno ostracismo che demolisce senza appello.
Non ci dimentichiamo di Giovanna Pedretti, la ristoratrice che si è tolta la vita, vittima dell’odio del web alimentato da chi per “mestiere” mistifica la realtà, insinua, fomenta disappunto. La donna era stata al centro di alcune polemiche per aver denunciato una recensione negativa per il suo locale, lasciata da un cliente che si lamentava di aver mangiato in un tavolo accanto a un altro con persone omosessuali e disabili.
Tutti si sono dunque espressi su tutto, criticando, giudicando, fomentando anche odio.
Pertanto non posso fare a meno di notare che lo stesso trattamento non è stato riservato a chi di sceneggiate se ne intende alla grande.
In aula, due giorni fa, per la prima udienza che lo vede alla sbarra per l’omicidio di Giulia Tramontano e del bimbo che portava in grembo, Alessandro Impagnatiello (reo confesso) dentro un’apparenza che mira proprio ad ingannare, appare mesto, con lo sguardo basso, con la barba lunga, con le lacrime agli occhi; Un’apparenza che inganna perché le parole proferite nei 4 minuti concessigli, arrivano dopo mesi di silenzio nei quali mai una parola di scusa o di richiesta di perdono sia stata fatta giungere alla famiglia di Giulia; Lui non usa il tempo a sua disposizione per fare quello che ci si aspetta da un assassino che confessa la sua condotta omicida; non utilizza quel tempo per raccontare con onestà quello che ha fatto alla sua campagna, pianificando per mesi la sua morte, avvelenandola un po’ al giorno con un topicida e poi impaziente di togliersela dai piedi, perché aveva un’altra relazione, uccidendola a sangue freddo infliggendole 37 coltellate, provando poi a bruciare il suo corpo, e alla fine sbarazzandosene gettandola in una intercapedine di un garage; No, Impagnatiello usa quei 4 minuti per ingannare l’uditorio, provando a muovere a compassione l’opinione pubblica, parlando di come si sente, di quanto soffre, del tormento che prova, del desiderio di non svegliarsi più al mattino.
Ecco di questa apparenza che inganna, non ho visto utenti parlare, non ho visto sollevare dubbi, non ho visto analizzare con razionalità un atteggiamento che appare diverso da come dovrebbe, che appare diverso da ciò che realmente è.
Allora mi viene da domandarmi cosa ci sia di socialmente sbagliato nel modo in cui si punta lo sguardo verso ciò che accade e che fa parte di un sistema mediatico che ha degli scopi precisi. C’è una apparenza che vuole sovrastare la verità, la veridicità di un evento, l’autenticità di un sentimento, che spesso viene camuffato, perché la sincerità non sempre premia e perché il destino di chi si mostra davanti ad una telecamera o in un contesto in cui c’è chi giudica, chi alla fine ti assolve o ti condanna, che ti salva o lascia la presa, dipende proprio da come scegli di apparire.
Chiedono di essere capiti, compresi e perdonati coloro che appaiono ingannando, e che sbagliano sapendo di sbagliare, e che che mostrano le famose “lacrime di coccodrillo”, che – come spiegano gli esperti – non piangono per dispiacere ma solo perché quello che hanno mangiato, gli è indigesto.