L’aspetto sociale inquietante dell’odio spietato verso Silvia Romano

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Niente, non ce la facciamo proprio ad essere umani.
Non siamo cambiati in meglio. Smentiti tutti i buoni propositi.
Siamo rimasti urlatori, odiatori, leoni da tastiera pronti a sentenziare, a offendere, a trasformare il diritto di parola in un ammasso di libero sfogo a insulti sessisti, omofobi, volgari e a nulla è valso il pronostico di divenire empatici, nei confronti del prossimo.
Egoisti, affamati di protagonismo e di qualche like, incitatori di odio; ecco come appare il popolo della rete in queste ultime ore dopo al liberazione di Silvia Romano.
E così le stesse persone che dai comfort delle loro abitazioni si sono lamentate in questi due mesi di quarantena, che hanno detto di essere in crisi, depressi, che “si sono sentiti come in prigione” durante il lockdown, prendono la parola e sputano veleno sulla ragazza tornata a casa dopo 18 mesi di prigionia.
Neanche era scesa dall’aereo e già era stata investita da insulti, ed illazioni.
E’ incinta, è diventata musulmana, si è sposata, si spartirà i soldi con i sequestratori“.
Ma questi sono gli insulti più discreti.
Perché ci sono anche quelli di una donna (il che è tutto dire)  – il cui video gira in rete da più di un giorno – che chiama “sciacquina” Silvia Romano e quelle come lei che – a suo dire – non sanno fare nulla. Cito testualmente: “abbiamo finanziato il terrorismo con il denaro di questi riscatti della sciacquina di turno che deve andare in Africa o in Siria a portare la propria clamorosa incompetenze“.
E poi lui, un certo Giovanni De Rose ex comandante della Polizia Municipale di Cosenza che commenta (e poi cancella, ma gli è andata male perché lo screen-shot lo inchioda alla responsabilità) con queste parole: “4 milioni sono per chi l’ha messa incinta. Ma l’avete vista Silvia Romano ara faccia? Anzi, n’ha fattu pure u sconto il montatore islamico. Atrica viagra“.

Parole al limite del reato penale, gravi, gravissime. Questi sono messaggi violenti, misogini, che fanno orrore. Ne potrei citare ancora e ancora, ma mi fermo qui, perché questa vuole essere una riflessione su quanto possa essere deleteria la superficialità con la quale ci rivolgiamo agli altri. Lo facciamo tutti i giorni, quasi senza farci caso. Non ci mettiamo mai nei panni degli altri, mai … figuriamoci se abbiamo provato a metterci nei panni di una ragazza di 24 anni che viene rapita e che resta per 18 mesi nelle mani dei sequestratori.

Lo ammetto, appeno ho visto Silvia scendere le scale dell’aereo con l’abito tradizionale somalo, mi sono posta qualche domanda, ma l’unico sentimento che mi ha pervaso è stata la commozione di saperla salva, mentre riabbracciava la sua famiglia.

No, non credo che vada tutto bene come lei dice.

Credo che abbia subìto uno choc, che in qualche modo le sia stato fatto il lavaggio del cervello, credo che la sua vita sia stata terribile in quei mesi.
Una vita che ha dettagli a noi completamente sconosciuti.
Credo che abbia avuto paura, ma che poi abbia alternato momenti di rassegnazione, alla paura.
Ed ora ha bisogno di essere sostenuta e di trovare un po’ di pace.
E le accuse e le minacce che mezza Italia le sta rivolgendo non assomigliano per nulla a quella pace di cui la ragazza necessita.

Dovrà raccontare tutto agli inquirenti.
Ha incominciato a farlo.
Racconta dei trasferimenti, spesso ore e ore di cammino a piedi, di essere stata trattata bene, di non aver subìto violenza, di aver dormito a terra su un giaciglio, di non aver mai visto in faccia i 6 uomini con cui si spostava, che uno solo di essi parlava un po’ di inglese, che aveva chiesto un quaderno per appuntare pensieri e sentimenti e poi di aver chiesto il corano. “Sono stati mesi di paura, di riflessione e di preghiera”, dice Silvia, che adesso si fa chiamare A’isha che significa”Viva“.

Le organizzazione che praticano il traffico degli occidentali con cui spesso finanziano le loro attività criminali, hanno una doppia faccia e questo si evince dai racconti di chi è stato rapito, a volte torturato anche e poi ha fatto ritorno. C’è una sorta di primitivismo delle bande che vivono nelle grotte armate fino ai denti, e poi quella finta gentilezza con cui trattono gli ostaggi tenendoli sotto scacco dal punto di vista psicologico. Spesso vengono minacciati, gli ostaggi, e poi costretti a vedere video di finte esecuzioni, per destabilizzarli, per annientarli.
Non ci dimentichiamo chi nelle mani dei sequestratori è stato torturato e poi ucciso.

C’è poi la questione del riscatto, che riguarda gli affari esteri e come lo Stato Italiano gestisce situazioni come questa e ce n’è stata più d’una, se ricorderete.
C’è la questione di come alcuni giovani che partono per missioni umanitarie non sono tutelati abbastanza in zone così a rischio.
Ma queste sono altre storie, che analizzeremo dopo.

Adesso non si possono chiudere gli occhi sull’odio sociale, che è sinonimo di qualcosa che in maniera grave contagia sempre più.

E’ musulmana?
Sarà mai questo il problema?
Qualcuno viene a dirvi quale dio pregare?
Le sarà stato fatto il lavaggio del cervello?
C’entrerà la sindrome di Stoccolma?

Non lo sappiamo. 
E il non sapere dovrebbe essere il primo imprescindibile monito, affinché non sia l’odio a regnare sulla vita degli altri.

 

Simona Stammelluti 

 

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