La salma di Marisa Leo trasferita in obitorio per l’autopsia disposta dalla Procura. Ecco le dichiarazioni che rese ai giudici al processo per stalking.
La salma di Marisa Leo è stata trasferita dal cimitero di Marsala all’obitorio della Medicina legale. Oggi l’autopsia. Nel frattempo, ciò che emerge dalla deposizione di lei al processo per stalking contro il compagno, Angelo Reina, è alquanto sintomatico e premonitore. Lei poi ritirò la querela per amore della figlia, affinchè non avesse un padre condannato. Le dichiarazioni di Marisa Leo, rese da testimone nel giugno del 2021 innanzi ai giudici del Tribunale di Marsala, sono tuttavia agli atti. La relazione tra i due inizia nel 2016. Lei tronca il rapporto nel 2020. E ai magistrati Marisa Leo ricorda un episodio determinante, nel maggio 2020: “Io quel pomeriggio ho vissuto un’esperienza molto difficile, molto brutta, mentre ero in macchina, stavo facendo una passeggiata con mia figlia. Mi accorsi dallo specchietto retrovisore che lui mi seguiva da lontano, forse voleva controllare dove stessi andando. Poi ad un certo punto ha iniziato ad avvicinarsi sempre di più. Dieci giorni prima avevo chiesto che il questore emettesse un ammonimento contro di lui perché c’erano stati dei fatti che mi avevano messo paura. Lui si avvicina sempre di più e mi taglia quasi la strada, io sono costretta lì a bloccarmi. Scende dalla macchina, si dirige verso di me e prova ad aprire lo sportello. Era totalmente fuori controllo. Provvidenziale è stato l’intervento dell’impiegato del distributore di benzina dove mi aveva obbligata a fermarmi per non essere speronata. In macchina c’era mia figlia che piangeva disperata”. Poi Marisa Leo racconta dei contrasti insorti già agli inizi della convivenza: “Lui intratteneva dei rapporti ambigui non chiari con un’altra donna: una sorta di relazione parallela, coperta da innumerevoli bugie. Poi sono rimasta incinta. Mi illudevo che la gravidanza potesse cambiarlo. Invece i comportamenti irrispettosi sono proseguiti e ho deciso di lasciarlo. Non lo ha mai accettato, tant’è che mi scriveva tanti messaggi, tra cui uno in cui diceva che si sarebbe fatto fuori se io non fossi tornata con lui. In me cresceva il senso di colpa perché temevo che lui potesse togliersi la vita”. Poi Marisa Leo sottolinea l’accanimento di lui: “Nell’estate del 2019 lui si è introdotto in casa mia, è salito fin sopra sul pianerottolo e ha suonato insistentemente, io ero in gravidanza, veramente ho rischiato molto con la grande agitazione, lui è entrato, voleva a tutti i costi tornare con me, mi ha preso con forza dalle spalle insistendo, io ho chiamato mia madre piangendo, poi ho chiamato la mia amica”. Allo stesso modo accadde dopo la nascita della figlia. E lei racconta: “Io non ho aperto, non so neanche come ha fatto a salire fin sopra perché lui non ha mai avuto le chiavi di nessun appartamento dove io ho vissuto, sia a Marsala che a Salemi. Ha iniziato a urlare dietro la porta. Io ero con mia madre e nostra figlia, ero a casa spaventata perché lui gridava dietro la porta e voleva entrare”.
Poi lei racconta il dopo: “Ho capito che da sola rischiavo di non farcela. Ho chiesto prima aiuto alla mia famiglia, alla sua famiglia, a ogni singola persona: parlate con lui per favore, fatelo ragionare. Dopodiché ho chiesto aiuto a un avvocato. Abbiamo messo le cose in chiaro, stabilendo quando e come lui potesse fare visita a nostra figlia. Non gli ho mai negato il diritto di essere padre. E in occasione di una delle visite stabilite dagli avvocati avvenne l’episodio più inquietante. Lui guardava probabilmente al cellulare delle armi e mi disse che frequentava il poligono di tiro”. E poi lei aggiunge: “Ricevetti una telefonata che ho registrato perché non era la prima con quei toni. L’ultima era con i toni più accesi, lui faceva intendere che avrebbe risolto le cose a modo suo. I toni sono stati minacciosi nei miei confronti e io ho avuto paura, ho deciso di fare una prima segnalazione con un ammonimento. A quel punto ho deciso di interrompere qualsiasi tipo di comunicazione con lui perché ho capito che non avrei potuto più fare nulla io da sola e che avevo bisogno di aiuto”. E lei aggiunge: “Io non sono più uscita di casa, poi quando ho ricominciato a uscire mio padre ogni volta controllava il garage, controllava che non ci fosse nessuno, io non uscivo di casa da sola, i miei genitori salivano fin su al pianerottolo, mi venivano a prendere e io camminavo sempre scortata. Dovevo riprendere a lavorare e ho chiesto al mio datore di lavoro di poter lavorare in smart working perché avevo paura. Diciamo che piano piano poi io ho iniziato ad uscire anche da sola. Spesso me lo sono ritrovato davanti, al bar come all’ambulatorio medico. Non era casuale: mi guardava, una volta ha parcheggiato la macchina accanto alla mia, è passato davanti, io prendevo il caffè al bar e lui si avvicinava al bancone, prendeva il caffè e se ne andava come per farmi capire: ‘sappi che io ci sono e ti controllo. Decisi di prendere delle precauzioni: io oggi cammino con una telecamera in macchina perché ho paura, perché se dovesse accadere qualche cosa almeno viene ripreso”.
Infine lei scelse di provare a concedergli una seconda possibilità, ancora per amore della figlia, affinchè lei avvertisse la presenza di un padre. Iniziarono un percorso insieme da uno psicologo, alla ricerca di un punto di equilibrio. E invece tutto è precipitato.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)